Marco Ulpio TRAIANO
"Optimus princeps, Traiano fu un sovrano assoluto capace di usare il potere senza abusarne. Non a caso viene ricordato come uno dei più grandi imperatori. Durante il suo periodo, l'impero raggiunse la sua massima estensione"
Generalità
Soldato ed Amministratore, uomo forte e giusto: queste le caratteristiche salienti del grande Imperatore Traiano. Con lui inizia il periodo di maggiore splendore dell’Impero. Sotto la sua guida Roma raggiunse la sua massima espansione.
Governò Roma per 20 anni, ma per oltre 10 fu impegnato
all’estero per combattere guerre difensive e di espansione. Già dopo due anni
dalla sua elezione, per la prima volta nella storia romana, il Senato gli
attribuì l’appellativo di “Optimus”, il migliore, ma lui ne proibì l’inclusione
fra i titoli ufficiali per circa 15 anni.
Era nato il 18 settembre ’53 d.C. ad Italica, una
cittadina spagnola, vicina all’odierna Siviglia, fondata da Scipione
l’Africano. Il padre era stato Senatore, Console e poi proconsole d’Asia. La
madre era spagnola.
La sua carriera da “privatus” fu caratterizzata
dalla scelta di vita di soldato. La durata del suo servizio in qualità di
”tribunus militum” fu, infatti, molto lunga. Egli percorse tutti i gradi della
carriera ordinaria (quaestor, praetor, legatus) e ebbe così modo di conoscere
le frontiere e le condizioni di vita di un Ufficiale, trascorrendo molto del
suo tempo all’estero.
Traiano era stato Console nel ’91 e fu poi inviato
in Germania quale Governatore nel ’96. Quando, nel ’97, l’Imperatore Nerva
l’associò al potere, nominandolo suo erede, comandava ancora le truppe di
stanza nella Germania superiore. Non era parente di Nerva che lo designò
soltanto perché lo considerava “il migliore”.
Nerva moriva tre mesi dopo senza neanche aver rivisto il figlio adottivo.
La notizia dell’elezione raggiunse Traiano a Colonia, dopo una gara di messaggeri che fu vinta da un suo cugino e futuro successore P. Elio Adriano.
Diventava Imperatore il 27 gennaio 98, all’età di 45 anni. Fu il primo Imperatore nato fuori d’Italia. Il dominio romano rivelava, così, il suo carattere supernazionale.
Nominato Imperatore non si recò subito a Roma, preferendo rimanere ancora sul Reno e sul Danubio per turare le falle che si aprivano nei confini dell’Impero.
Fece il suo ingresso a Roma due anni dopo, entrandovi non in lettiga, come un Re orientale, ma a piedi, da cittadino qualunque (tanto era alto e svettava su tutti).
Scelse come dimora un palazzo di modeste proporzioni, vivendovi da uomo probo.
Quando, finalmente, si recò in Senato per la
cerimonia d’investitura, il Senatore Plinio gli rivolse un lungo “panegirico”
(durato parecchie ore) in cui, fra l’altro, gli chiese un maggiore
coinvolgimento del Senato nella conduzione degli affari pubblici. E Traiano
accolse di buon grado questa richiesta, chiamando molti Senatori a governare i
domini romani. Tuttavia esercitò su di essi un controllo molto serrato,
occupandosi minuziosamente dei bisogni delle varie Provincie ed avocando a sé,
per esempio, i permessi per la costruzione di edifici di uso pubblico. Questo
controllo gli permise di colpire molti Senatori che si erano appropriati
illegalmente di varie ricchezze, approfittando anche della politica indulgente
del precedente Imperatore Nerva. Numerosi furono i processi per casi di
malgoverno delle provincie, anche se il Senato emise generalmente sentenze
compiacenti.
Negli anni, Traiano sottrasse autorevolezza al
Senato istituendo un Consilium Principis,
organo giudicante collegiale di cui fecero parte celebri giuristi.
Aveva un senso di dirittura morale che ne faceva un ottimo amministratore della cosa pubblica. E riconobbe sempre la supremazia della legge, anche di fronte alla volontà dell’Imperatore. Il potere non gli diede mai alla testa. Interpretò il ruolo di Imperatore conferendogli innanzitutto il carattere di un servizio. Abolì subito i rituali onorifici connessi con la regalità: il palanchino ondeggiante con i battistrada, l’abbraccio al piede dell’Imperatore, il bacio della mano e tutti quei degradanti simboli caratteristici di una monarchia orientale. Con la sua apertura di cuore e con la naturalezza delle maniere si guadagnò l’affetto delle due classi più influenti nello Stato: i soldati ed il Senato. Era un formidabile lavoratore. Le sue idee politiche erano quelle di un conservatore illuminato che credeva più alla buona amministrazione che alle grandi riforme.
Una politica estera e militare offensiva
Se, a giudizio degli storici, il principale merito di Traiano verso Roma deriva dalla sua attività amministrativa, la sua fama plurisecolare è dovuta soprattutto alle sue imprese militari.
Escludeva la violenza, ma sapeva ricorrere alla forza. Abile stratega, saggio amministratore, uomo giusto, soldato con mentalità da soldato, riteneva che la miglior difesa fosse l’attacco.
In politica estera, infatti, abbandonando la linea difensiva seguita dai suoi predecessori, organizzò nuove guerre di conquista; di nuovi territori aveva bisogno per sostenere la sua politica interna d’assistenza ai bisognosi e per risolvere la crisi economica che procedeva irreversibilmente, con un livello di tassazione molto elevato. Le nuove terre, inoltre, avrebbero assicurato nuove masse di schiavi e la possibilità di insediare coloni italici nelle regioni conquistate.
Per fare questo aveva bisogno di un Esercito affidabile. E fu questa la sua prima cura. Creò nuove Legioni, ma, soprattutto, impose un nuovo senso della disciplina con un serrato programma d’addestramento e con un nuovo rapporto fra Soldati, Comandanti ed Imperatore. Credeva fortemente nel valore dell’esempio. Condivideva le fatiche e le ansie dei suoi Soldati, con cui familiarizzava chiamandoli per nome e che redarguiva se necessario. Il suo ascendente sui Soldati gli procurò una dedizione, una fedeltà ed un rispetto ogni giorno più alti. Un dato è sicuro: la reciproca lealtà fra l’Esercito e Traiano fu assoluta e forse nessun altro Imperatore seppe, come lui, ottenere dai propri Soldati risultati altrettanto fruttuosi.
Le principali guerre di Traiano furono due: quella dacica e quella armeno-partica. Da ricordare, inoltre, anche la conquista dell’Arabia nord occidentale.
La conquista della Dacia (101 – 105)
Nei mesi trascorsi sul fronte germanico dopo la sua elezione, Traiano ebbe il tempo di pensare ad una politica estera il cui scopo fondamentale era quello di riprendere alla mano il problema della Dacia (attuale Romania). Il possesso di questa regione consentiva, infatti, il raggiungimento di una stabile linea difensiva per sbarrare il passo alle infiltrazioni di barbari verso occidente. Essa avrebbe consentito, inoltre, un tranquillo sviluppo delle adiacenti regioni romane della Mesia (odierna Bulgaria) e della Tracia (Grecia orientale).
La Dacia era stata un problema per i Romani anche negli anni precedenti. Era un vicino sempre pericoloso, un faro per l’unione di tutti i popoli del medio e basso Danubio. Nell’85-86, Domiziano aveva pensato di risolvere la difficile situazione con il pagamento di somme di danaro, date in sussidio per ottenere la collaborazione delle tribù più civili o la neutralità di quelle più turbolente lungo i propri confini. La scelta appariva incomprensibile e vergognosa per i contemporanei. La politica di Domiziano rappresentava l’espediente provvisorio più saggio, ma non poteva essere considerata una soluzione definitiva. Essa poteva aver successo solo nei casi in cui i beneficiari erano troppo deboli o disuniti per costituire un pericolo per le vicine province romane. I daci, invece, erano un popolo unito, conscio della propria nazionalità e ben organizzato, agli ordini di un principe geniale, Decebalo, che nutriva un odio indomabile verso l’Impero e che tentava di coinvolgere sia le tribù vicine sia i lontani Parti (Estremo Oriente) in una guerra congiunta contro i romani.
La conquista della Dacia, oltre che dalla sicurezza dei confini, era dettata anche da altri motivi eminentemente pratici: le miniere d’oro e la possibilità di procurarsi una grande massa di schiavi. Con l’oro, Traiano, poteva costruire opere pubbliche in mezzo impero.
La conquista della Dacia si realizzò con due guerre:
·
la
prima, dal 101 al 102;
·
la
seconda, dal 104 al 105.
La prima guerra dacia fu iniziata, nel marzo del
101, dallo stesso Traiano il quale temeva un’invasione della Mesia, regione
romana confinante con la Dacia, da parte di Decebalo approfittando del fatto
che il Danubio era gelato. Decebalo era ormai giunto al culmine del suo
prestigio e Traiano valutò che il procrastinare l’impresa avrebbe reso più
difficoltoso il successo.
In realtà, già dal 98-99, Traiano aveva realizzato
una serie di predisposizioni tattiche fra cui la costruzione di una nuova
strada che sarà utilizzata per l’avanzata.
Traiano fece gettare sul Danubio due grandiosi ponti sui quali transitarono due colonne per un totale d’ottantamila legionari romani. Le due colonne si riunirono a Tibiscum e proseguirono fino a Tapae ed al passo delle cosiddette Porte di Ferro che immettevano nella Dacia vera e propria (L’uso di colonne separate per penetrare in una regione difficile e per dividere il nemico nei punti strategici è una tattica che Traiano adottò anche in futuro contro i Parti).
Decebalo si ritirò nel tentativo di trascinare i romani in zone impervie, allungare le loro linee di comunicazione ed isolarli nelle montagne della Transilvania. Ma, durante l’avanzata, Traiano costruiva campi base e fortezze (Lederata, Tibiscum) per consolidare le conquiste e rendere possibile l’afflusso di rinforzi e di rifornimenti. Nella sua visione tattica della situazione, infatti, un posto di primo piano era sempre riservato ai problemi logistici.
A Tapae, nel 102, ebbe luogo la prima battaglia campale della guerra, conclusasi con una vittoria non decisiva dei romani. Nella zona fu elevata un’ara sacra dedicata agli innumerevoli caduti romani. Resosi conto della forza intrinseca delle difese delle Porte di Ferro, nella primavera successiva Traiano cambiò linea di gravitazione del suo sforzo e penetrò in Dacia attraverso il passo della Torre Rossa, anche se, per questa strada, la linea delle comunicazioni era molto più lunga e debole. Questa manovra realizzò la sorpresa tanto che il passo fu superato prima di essere bloccato da un contingente di Daci. Ormai Traiano era al centro dell’anello dei Carpazi. L’obiettivo principale dello sforzo, la capitale dacia Sarmizegetusa, era ormai a portata di mano. Ma un’azione diretta contro la capitale avrebbe esposto il fianco sinistro romano alle offese derivanti da una linea di fortezze dacie situate sui contrafforti dei monti. Traiano, ancora una volta modificò il centro di gravitazione del suo sforzo e diresse la sua colonna principale contro le fortezze che furono distrutte una ad una. In tal modo realizzava anche il principio della massa e del frazionamento dell’avversario.
Decebalo impiegò tutte le sue forze per soccorrere le fortezze e, quando l’ultima di queste fu espugnata, la strada per la capitale era ormai da considerarsi aperta e la guerra ormai vinta. Decebalo per risparmiare gli orrori di un inutile assedio capitolò, presentandosi nel campo di Traiano.
La pace fu realizzata nel 102 ed accordata da Traiano in termini abbastanza miti.
A Decebalo rimanevano, infatti, i monti della Tracia con le loro miniere d’oro. Varie sono le motivazioni che possono aver suggerito questa clemenza da parte di Traiano:
- l’eccessiva fiducia nella portata del successo realizzato;
- la difficoltà di mantenere in Dacia, per tutto un inverno, un Esercito per la conquista dell’intera regione;
- il riconoscimento del valore personale dello stesso Decebalo, che poteva diventare un fedele alleato di Roma.
Tuttavia, entrambi i condottieri conservavano la riserva mentale di prepararsi meglio ad un’eventuale nuova guerra. Traiano, infatti, non spostò dall’area nessuna delle Legioni che avevano preso parte alla campagna.
Dopo qualche anno, nell’autunno del 105, Decebalo passò all’azione invadendo la Mesia e sorprendendo inizialmente Traiano. Aveva così inizio la seconda guerra dacia.
Nonostante la prospettiva dell’imminente inverno e le avverse condizioni del mare, Traiano salpò da Ancona con una cospicua flotta fino a Zara. Con lui era anche il cugino Adriano (suo futuro successore). Seguì una linea d’avanzata diversa da quella della prima guerra dacia. Probabilmente passò dalla Dalmazia ed avanzò con grande velocità operativa. Era deciso a colpire ancor prima dell’arrivo dei rinforzi anche per impedire una propagazione della rivolta ad altre tribù. E, questa volta, era deciso a conquistare l’intera regione della Dacia. Dopo aver riunito le forze, attraversò il Danubio sul grande ponte in pietra che l’architetto Apollodoro di Damasco aveva eretto a Drobetae durante il breve periodo di pace.
L’attacco fu condotto da due direttrici, quella delle Porte di ferro e quella della Terra Rossa. Superate queste posizioni l’offensiva si diresse sulla capitale Sarmizegetusa che fu occupata dopo disperata resistenza. La conquista della capitale non concluse tuttavia la guerra. Traiano si rendeva ben conto che il problema dacio si sarebbe risolto solo con la morte del re Decebalo. Questi, infatti, aveva tentato di ritirarsi verso il nord per riordinare le proprie forze e per chiamare alla rivolta nuove tribù. Ma la caccia romana fu spietata. Decebalo si diede alla fuga, ma incalzato e raggiunto dalla cavalleria romana, per non cadere prigioniero dei soldati di Traiano, si tolse la vita. I romani gli mozzarono la testa e la mandarono a Roma come trofeo.
La capitale Sarmizegetusa da allora in poi fu chiamata Ulpia Traiana.
Per dare un assetto definito alle sue conquiste, questa volta, Traiano mise in atto delle misure di sicurezza molto aspre attenendosi al motto: “sugli altopiani daci il presupposto per la pace è la desolazione”. Almeno cinquantamila prigionieri furono inviati a Roma come schiavi o per concludere la loro vita come gladiatori.
La Dacia fu ordinata in Provincia. Una popolazione poliglotta sostituì quella indigena. Fra essi, numerosi coloni romani che iniziavano, in tal modo, una radicale latinizzazione della zona i cui effetti si risentono ancora oggi. I ridenti pascoli furono assegnati in affitto. Esperti funzionari imperiali si occuparono di estrarre l’oro dalle miniere dei monti della Tracia, mentre altri tecnici scavavano per la ricerca d’argento, ferro e sale. Alcune parti della dacia furono assegnate alla Mesia.
L’obiettivo di rendere sicure le frontiere danubiane era stato raggiunto. L’assetto militare da lui studiato garantiva loro la pace e nella sua politica d’incivilimento si trovavano i germi della loro forza futura.
Traiano vide con molta chiarezza che nelle provincie del Danubio si trovava la chiave della prosperità e della sicurezza dell’Impero. Ad esse occorreva rivolgere molta attenzione perché esse formavano la spina dorsale della frontiera più sensibile.
La storia gli avrebbe poi dato ragione: Roma cadrà a seguito dell’invasione dei barbari provenienti dalla frontiera danubiana!
In questo Traiano vide giusto. E se si fosse accontentato dei suoi allori danubiani egli si sarebbe potuto vantare di aver reso a Roma un ottimo servigio. Sfortunatamente una valutazione erronea dei suoi successi gli fece volgere l’attenzione ad Oriente, e la sua infruttuosa campagna partica mise a repentaglio quella stabilità così duramente conquistata.
La conquista dell’Arabia nord occidentale (Nabatia)
Quasi contemporaneamente alla guerra dacia, nel 106, fu conclusa la conquista del regno dei Nabatei (Arabia nord occidentale).
Nel 101, infatti, alla morte del Re cliente Agrippa II, senza successori diretti, Roma aveva inglobato quel regno nella nuova provincia della Giudea. Si acquisiva in tal modo una sottile striscia di terreno che consentiva il collegamento con l’Egitto (già colonia romana). La continuità raggiunta appariva però troppo esile. Per darle profondità e consistenza non restava che acquisire il regno vassallo dei Nabatei (corrispondente all’odierna Giordania), che Traiano fece conquistare nel 106 con relativa facilità. Ormai tutte le rive del Mediterraneo erano in mano romana ed il Mediterraneo diventava veramente il “Mare Nostrum”. I territori della Nabatea e della Giudea, inoltre, potevano servire quale piattaforma per l’avvio di future operazioni in direzione dell’Oriente.
Il fronte orientale (la guerra armeno-partica) (113 – 117)
Da buon stratega, Traiano aveva combattuto la guerra per la conquista della Dacia, dopo che si era assicurato un periodo di relativa tranquillità alla frontiera orientale (l’attuale Medio Oriente). In conformità a queste predisposizioni strategiche, Traiano aveva potuto realizzare la conquista della Dacia, durata, come visto, ben quattro anni.
Un trionfo di tale importanza poteva bastare per una generazione; tentare una seconda guerra su scala molto più vasta, dopo meno di un decennio, rappresentava una spesa assai onerosa per le risorse imperiali. Mancò in Traiano questa visione geostrategica della situazione ed egli cominciò a rivolgere ora la sua attenzione al fronte orientale.
Fu l’attrazione fatale del gran condottiero! Conquistata la Nabatea (Arabia nord occidentale), tutto appariva pronto per dare inizio alla guerra contro i Parti e realizzare il sogno d’ogni condottiero romano: vincere i Parti e portare i legionari sulle rive del Golfo Persico.
Per quest’impresa, Traiano, aveva realizzato alcune
predisposizioni tattiche:
·
lastricando
le strade per facilitare le comunicazioni ed i rifornimenti;
·
scavando
pozzi e cisterne perché al suo Esercito non mancasse l’acqua;
·
realizzando
l’importante strada che collega Damasco ed Akaba, sul mar Rosso;
·
costruendo
strade di raccordo secondarie;
·
fortificando
alcuni centri strategicamente nevralgici per la protezione delle vie di
comunicazione.
Con l’Armenia e con i Parti i Romani avevano avuto
varie controversie in gran parte irrisolte. L’Armenia ed il regno dei Parti
erano rimaste sempre una spina nel fianco di Roma fin dal tempo di Pompeo ed
Augusto. Lo stesso Traiano si era trovato a fronteggiare “la fierezza e
l’orgoglio” dei Parti, al tempo in cui era giovane Tribuno agli ordini del
padre. Traiano immaginava di risolvere il problema una volta per tutte, di
consolidare il disegno imperiale d’Augusto e di lasciare in eredità ai suoi
successori uno Stato unificato, rispettato, sicuro. A ciò lo spingevano anche
il ricordo del successo d’Alessandro il Grande ed il desiderio di riscattare le
sconfitte subite da Crasso e da Antonio.
Lo spunto per la guerra fu dato, nel 110, dal nuovo
Re dei Parti Chosroe, che succeduto al fratello Pacoro II, manifestò subito
atteggiamenti antiromani.
In particolare, Chosroe scacciò il Re dell’Armenia
Axidares ed insediò il nipote Parthamisiris, senza chiedere il nulla osta
romano, com’era previsto da accordi di pace stipulati negli anni precedenti con
Nerone.
Traiano colse l’occasione: egli non aveva cercato la
guerra, ma vi si era preparato e non vi è ragione di dubitare che egli
accogliesse favorevolmente la congiuntura per chiarire, una volta per tutte, la
mai composta questione armena. Glielo imponeva anche la sua posizione di
Imperatore che, dopo la conquista della Dacia, aveva restituito a Roma il senso
della sua missione imperiale.
Il conflitto iniziò nel 113. Traiano occupò l’Armenia
e la dichiarò provincia romana, nonostante che il Re Parthamisiris gli avesse
deposto la corona ai piedi con l’intima speranza che Traiano gliela riponesse
sulla testa. Nell’inverno degli anni 114-115 fu conquistata la Mesopotamia che
divenne provincia romana. La campagna aveva riportato un successo che superava
ogni previsione e aveva dato non una ma due nuove provincie all’Impero (Armenia
e Mesopotamia). Invece di fermarsi, Traiano preparò una nuova campagna per
l’anno successivo. Durante l’inverno le foreste della zona furono ampiamente
disboscate per la costruzione di barche e di pontoni necessari
all’attraversamento dei fiumi. Si conferma in tal modo la capacità
“genieristica” che ha consentito ai romani la realizzazione di tante grandi
imprese.
L’ipotizzata conquista della capitale partica
Ctesifonte (vicino all’odierna Bagdad) poneva un rilevante problema logistico:
le truppe romane dovevano abbandonare le terre abbastanza fertili della
Mesopotamia per inoltrarsi nel deserto.
Il problema fu risolto servendosi delle vie fluviali
dell’Eufrate e del Tigri. Furono realizzati vascelli di notevole stazza, capaci
di navigare lungo il corso del Tigri fin dal confine siriaco, creando così una
linea di comunicazioni sufficiente e basi di rifornimento mobili.
Nella primavera del 116 Traiano si mosse per la
conquista della Babilonia e dell’Assiria, operando con due colonne lungo la
direttrice dei due fiumi.
Lo sforzo principale era lungo il Tigri e Traiano
assunse personalmente il comando di questa colonna. Il passaggio del Fiume
Tigri fu aspramente contrastato, ma, ingannando il nemico con numerose finte e
coprendo i genieri con uno sbarramento di fanteria ed arcieri disposti su navi
ancorate lungo la corrente, fu possibile costruire un ponte di barche e farvi transitare
le truppe.
La colonna operante lungo l’Eufrate penetrò nella
regione di Babilonia e si ricongiunse a quella principale per tentare l’assedio
della capitale del regno partico Ctesifonte. I grandi vascelli utilizzati da
questa colonna lungo l’Eufrate furono trasferiti attraverso il deserto fino al
Tigri perché erano molto utili per l’assedio di Ctesifonte. La capitale del
regno partico non resistette a lungo all’assedio..
La guerra sembrava ormai conclusa, anche se Osroe
era riuscito a fuggire.
Inseguire Osroe sugli altopiani iranici era
un’impresa ardua e bisognava ora organizzare la vita e l’amministrazione delle
nuove provincie.
Prima di procedere alla revisione dell’assetto
definitivo, Traiano effettuò un’ultima avanzata. Nell’inverno del 115-116
discese fino alla foce del Tigri. Roma aveva raggiunto il Golfo Persico
entrando in possesso della via commerciale dalla Mesopotamia all’Estremo
Oriente.
Ma lo spirito dei Parti non era completamente
domato. Con le loro veloci bande di cavalieri armati d’arco svilupparono
un’intensa guerriglia antiromana. Questa volta l’Imperatore si rese conto che,
con territori così sterminati e con popolazioni dall’animo irrefrenabile, era
impossibile per Roma esercitare un valido controllo della situazione. Decise, quindi,
di giocare il tutto per tutto con un’audace azione politica:
·
incoronò
uno dei capi ribelli più pericolosi come re vassallo di Roma;
·
assegnò
il trono dell’Armenia al figlio di un altro dei capi più pericolosi.
Il suo disegno politico, tuttavia, non resse a lungo
perché vi furono nuovi rivolgimenti nelle terre conquistate.
L’età (l’Imperatore aveva ormai superato la
sessantina), la stanchezza, la salute minata dalle privazioni e dagli sforzi
(soffriva di idropisia), l’esigenza di controllare una nuova rivolta ebraica
esplosa in Cirenaica lo indussero a desistere dall’avviare una nuova guerra
contro i Parti. Lasciò l’Esercito al cugino Adriano, nominandolo Legatus di Siria, ed intraprese il
viaggio di ritorno verso l’Urbe. Rimpianse d’essere troppo vecchio per
imbarcarsi e muovere alla conquista dell’India e dell’Estremo Oriente, secondo
il sogno d’Alessandro il Grande. Ma era destino che non dovesse più rivedere
neanche Roma!
La
rivolta ebraica (115)
Traiano non era un persecutore dell’ebraismo. Ma gli
ebrei non amavano Roma. Era vivo in loro il ricordo della perdita patita di
Gerusalemme e della distruzione del tempio di Salomone. Nel 114, per combattere
la guerra contro i Parti, Traiano aveva sguarnito i presidi militari di molti
paesi orientali. Agli ebrei parve, allora, che fosse arrivato il momento di
attaccare. La rivolta cominciò, nel 115, dalla Cirenaica, la provincia romana
più sguarnita di presidi, e si estese rapidamente all’Egitto, all’isola di
Cipro ed alla Mesopotamia.
La repressione ordinata da Traiano fu orrenda. I
Generali inviati in Egitto perpetrarono un vero e proprio sterminio. La stessa
cosa avvenne in altre regioni.
Gli ebrei superstiti corsero a rifugiarsi nelle zone
interne dell’Africa.
Pur essendo celebrato per la sua modestia e pur essendo d’indole pragmatica, Traiano si rendeva ben conto che i monumenti celebrativi e, soprattutto, le opere pubbliche erano necessari per accrescere il consenso popolare.
Per quanto riguarda le opere pubbliche le sue
principali realizzazioni furono:
·
l’estensione
e la manutenzione della rete viaria senza trascurare alcuna regione
dell’Impero;
·
la
sistemazione e l’ampliamento dei porti per favorire l’attracco delle navi
(Sicilia, Civitavecchia, Ostia, Ancona, etc.);
·
la
fondazione di colonie;
·
la
costruzione di ponti (famosi quello sul Tago, presso Alcantara, e quello sul
Danubio a Drobetae. Quest’ultimo era lungo oltre 1.100 m., alto 27 m. ed aveva
una larghezza di 12 m. un’impresa assolutamente straordinaria per quei tempi!);
·
la
realizzazione d’acquedotti in Italia (come quello che dal lago di Bracciano
portava l’acqua a Trastevere), in Spagna, in Dalmazia, in Arabia, in Egitto,
etc.;
·
il
restauro del canale che congiunge il Nilo con il mar Rosso (cui diede il nome
di fiume Traiano);
·
la
ristrutturazione della via Appia. Per abbreviare il percorso fino a Brindisi,
realizzò, a partire da Benevento, una variante della via Appia. La nuova strada
fu chiamata Appia-traiana e può essere considerata l’antenata delle nostre
autostrade;
·
il
tentativo (non pienamente riuscito) di prosciugare le paludi pontine;
·
le
terme sul Colle Oppio;
·
la
realizzazione di un’area per la Naumachia (simulazione di battaglia navale),
sulla riva destra del Tevere vicino all’attuale Castel S. Angelo;
·
il
restauro e l’ampliamento del Circo Massimo;
·
il
riordino dei cunicoli delle cloache romane;
·
il
rinforzo degli argini del Tevere per impedire alluvioni e la costruzione di un
canale per far defluire le acque delle piene.
Per quanto riguarda i suoi principali monumenti,
Traiano si avvalse del grande architetto Apollodoro di Damasco. A questi si
deve il Foro traiano, il più grande ed il più splendido dei fori imperiali.
Grande quanto tutti gli altri Fori imperiali messi insieme. Si tratta di uno
dei monumenti più fastosi di tutti i tempi, racchiuso in un complesso di
straordinaria imponenza cui si accedeva attraverso un marmoreo arco trionfale.
Accanto al Foro traiano, furono realizzati i Mercati traianei, simili ad un
centro commerciale d’oggi con circa 150 negozi (pur non essendoci ancora i
frigoriferi, vi era anche un mercato ove i pesci erano tenuti vivi in vasche
d’acqua dolce o salata a seconda che si trattasse di pesce di lago o di mare).
Per ricordare la conquista della Dacia, nell’ambito del complesso architettonico del Foro traiano fu inserita anche la Colonna traiana, alta circa 30 metri, larga 4 metri e sormontata da una statua dell’Imperatore. Essa era originariamente colorata e nasconde all’interno una scala a chiocciola di 185 gradini. Attorno alla Colonna si avvolge, per 23 giri, un fregio di marmo a spirale, alto un metro e lungo 200 metri, su cui, con circa 2500 figure sono raccontate le vicende della conquista della Dacia (può essere considerata l’antenata dei moderni sceneggiati televisivi). E’ un’incisione troppo gremita per essere bella, ma dal punto di vista documentario è molto interessante. Per espressa volontà dell’Imperatore, ai lati della colonna traiana, furono costruite due biblioteche, una per i testi latini ed una per i volumi in lingua greca.
Per mantenere la prosperità in Italia e permetterle di conservare il suo primato all’interno dell’Impero, erano necessari provvedimenti ben più drastici del puro e semplice miglioramento delle vie di comunicazione. Pertanto la caratteristica principale delle iniziative promosse da Traiano nel campo sociale fu l’interessamento per le nuove generazioni.
Sui Plutei che ora sono conservati nella Curia (sede del Senato, ubicata all’interno dell’area del Foro romano), si vede Traiano che brucia i registri delle tasse e che instaura “l’istitutio alimentaria”. Quest’istituto era stato introdotto dal predecessore Nerva, ma sotto Traiano trovò la sua piena realizzazione.
Grazie ai soldi della conquista della Dacia, Traiano
ripopolò di contadini liberi l’Italia, fornendo loro terra, sementi, attrezzi e
casa, chiedendo in cambio un moderato interesse annuo. In tal modo risollevò le
condizioni dell’agricoltura.
Con gli interessi istituì collegi per ragazze e
ragazzi poveri e per gli orfani dei suoi legionari cui erano elargiti sussidi
mensili (16 sesterzi per i ragazzi e 12 per le ragazze). In tal modo,
garantendo loro cibo ed istruzione, assicurò all’Impero una classe di tecnici e
militari che costituirà l’ossatura dei futuri regni d’Adriano ed Antonino.
Fra le iniziative di Traiano per favorire la ripresa
economica dell’Italia vi è da menzionare anche l’introduzione dell’obbligo, per
la classe senatoria, di avere almeno un terzo del loro capitale investito in
Italia. Inoltre alcune città italiane furono ripopolate con nuclei di veterani
e furono posti limiti all’emigrazione dall’Italia. Infine, gli italici ed i
provinciali poterono usufruire dell’abrogazione di alcune tasse ed i romani
godettero di concessioni ancora maggiori. Furono avviate le prime
organizzazioni di categoria come quelle dei fornai e dei trasportatori romani
Traiano aveva ereditato da Nerva, se non un deficit,
almeno la prospettiva di difficoltà finanziarie. La situazione fu fronteggiata
sia con economie sia con la conquista delle miniere d’oro ed argento della
Dacia. Nonostante gli oneri connessi con le guerre in Oriente, si può affermare
che Traiano consegnò al suo successore Adriano un impero prospero e con buone
prospettive finanziarie.
In campo giudiziario, fu accelerato l’iter dei
processi; fu consentita la confessione con la confisca della metà dei guadagni
illeciti; le accuse anonime furono proibite; i condannati in contumacia ebbero
diritto ad un nuovo processo; non potevano essere pronunziate condanne se sussisteva
la più piccola ombra di dubbio (“in dubbio pro reo”).
Nel luglio del 117, durante il viaggio di ritorno verso Roma, al termine della guerra contro i Parti, dovette fermarsi in Cilicia per una trombosi cerebrale.
Qui morì l’11 agosto, a 64 anni, dopo aver regnato per circa un ventennio.
Per i romani era fondamentale che i defunti
venissero sepolti all’esterno del Pomerio, il limite sacro della città. Il
corpo di Traiano, invece, fu ospitato in un’urna d’oro entro la base della sua
colonna, nel cuore della città. Con lui fu poi sepolta Plotinia, sua unica
moglie cui fu fedele per tutta la vita (cosa assolutamente insolita per quei
tempi, in cui, per le classi superiori, un matrimonio era valutato,
soprattutto, in termini di opportunità politica o di convenienza economica).
Molte volte nella sua persona sono state celebrate le ragioni della civiltà e dell’incivilimento (oggi si direbbe cultura in senso lato). I romani affermavano che i buoni Imperatori “abitavano” le virtù. E Traiano era un buon Imperatore! In lui sembrò attuarsi una conciliazione fra principato e “libertas”.
Dante lo ricorda nel Canto X del Purgatorio, ne celebra le doti di giustizia con versi tra i più belli. Secondo la tradizione dantesca Gregorio Magno, colpito dalla generosità dell’Imperatore, avrebbe ottenuto da Dio la sua resurrezione per il tempo necessario ad impartirgli il battesimo, consentendogli così di entrare in Paradiso, nel cielo di Giove e precisamente fra i sei spiriti giusti che formano l’occhio della mistica aquila. Dante riteneva, così, che l’ingresso in Paradiso fosse dovuto al senso di giustizia che, almeno in quel caso, poteva prevalere sulla Fede.
Dopo di lui, ogni nuovo Imperatore venne salutato dal Senato con le parole “Sii più benefico di Augusto e più giusto di Traiano”.
Sotto la sua guida ispirata, Roma riacquistò fiducia non solo nella sua sicurezza interna, ma anche nel suo destino imperiale. Tuttavia, la politica di conquista seguita da Traiano, alla fine, si sarebbe rivelata come una “damnosa hereditas” per l’Impero che egli cercava di rafforzare.
In ogni caso, una personalità del genere era necessaria all’Impero romano proprio quando visse Traiano; un Soldato ed un Amministratore, un uomo forte e giusto.