LE ISTITUZIONI DI ROMA
PREMESSA
La storia di Roma ed in particolare quella delle sue Istituzioni può suddividersi nei seguenti quattro periodi:
Cercando ora di delineare
per grandi linee la storia della Istituzioni di Roma, possiamo evidenziare che
tutti gli storici antichi fanno risalire alle stesse origini di Roma una serie
di suddivisioni in cui si sarebbe ripartita la popolazione, alcune di carattere
amministrativo, altre di carattere politico-sociale.
Per quanto riguarda le
prime, siamo informati che Romolo, una volta confermato alla guida della città
da lui stesso fondata, distribuì tutti i cittadini in tre Tribù, composte ognuna di dieci Curie. Ogni Curia a sua volta sarebbe stata divisa in dieci Decurie. A capo d’ogni Tribù sarebbe
stato posto un Tribuno, per ogni
Curia un Curione e per ciascuna
Decuria un Decurione.
Questa divisione di
carattere amministrativo, in origine, riguardava principalmente il campo
militare poiché ciascuna Decuria doveva fornire un contingente di 100 uomini di
fanteria e 10 uomini per la cavalleria.
Già con Romolo sembrerebbe
poi affermarsi una differenziazione sociale, fra Patrizi e Plebei. Questa
distinzione corrispondeva ad una diversità di funzioni. Ai Plebei incombeva
essenzialmente l’onere dei campi. Essi erano, pertanto, esentati dagli affari
pubblici che invece erano di competenza dei Patrizi, essendo a costoro
riservato il ruolo di sacerdoti, giudici, collaboratori e magistrati ausiliari
del Rex nel comando della città.
L’assetto costituzionale
delle origini era fondato sulle seguenti figure istituzionali:
Il Rex aveva una triplice funzione:
Aveva alle sue dipendenze,
per quanto concerne il comando militare, un Magister Populi che era il suo sostituto nel supremo comando e un Magister Equitum che aveva il comando
della cavalleria.
Per la repressione dei
crimini più gravi si avvaleva dei Questores
Parricidi.
Un'importante riforma,
attribuita a Servio Tullio, è quella
dell’Ordinamento
Centuriato con la quale il popolo era ordinato in cinque classi di cittadini in grado di portare le armi in base alla
loro ricchezza personale.
Il popolo era
complessivamente suddiviso in 193 Centurie.
Ogni Centuria doveva fornire all’esercito un contingente fisso d’uomini armati
(presumibilmente 100). Mentre ai fini politici ogni Centuria avrebbe costituito
un’unità di voto.
Per un’effettiva
comprensione della società romana non si può dimenticare l’importanza dei Collegi sacerdotali. I tre Collegi più
importanti nella Civitas furono: i Pontefici,
i Feziali e gli Auguri.
Il primo Collegio era
presieduto dal Pontefice Massimo, in
epoca repubblicana il più importante sacerdote di Roma. Il Pontefice Massimo
era presente in ogni manifestazione di rilievo della vita della città. ed aveva
un ampio potere di controllo e di intervento. Inoltre era il depositario delle
primitive norme di diritto e dell’enunciazione del calendario. Questo Collegio
era composto di cinque membri scelti
per cooptazione (sistema di integrazione di un collegio mediante la scelta di
un nuovo membro su indicazione di coloro che già appartenevano al collegio
stesso). In epoca tardo repubblicana i membri divennero 15 e il Pontefice
Massimo fu eletto dal popolo.
I Feziali erano competenti per i rapporti internazionali di Roma.
L’altro collegio da
menzionare è quello degli Auguri.
Questi erano invece gli interpreti ufficiale degli àuguri. Non deve sorprendere
che una comunità primitiva si interrogasse sulla volontà divina, al fine di
regolare la vita sociale e di prendere decisioni importanti. L’Augurium riguardava una situazione
lontana nel tempo e poteva investire un ampio oggetto. Accanto allo stesso
abbiamo l’Auspicium preso “solo” dal
Rex in età monarchica e dal magistrato successivamente e che riguardava una situazione
vicina e concreta nel tempo.
Una volta cacciato l’ultimo
Re, il tiranno Tarquinio il Superbo,
i romani instaurarono un regime repubblicano dando corpo ad un assetto
costituzionale che prevedeva un reciproco bilanciamento e controllo dei poteri
allo scopo di evitare il ritorno di forme dittatoriali. La direzione dello
Stato fu, infatti, affidata a due Capi (Consoli),
eletti annualmente, che esercitavano i poteri in maniera collegiale e con
reciproco diritto di veto.
IL CONFLITTO TRA I PATRIZI ED I PLEBEI
Nei primi anni della
Repubblica è importante sottolineare il conflitto che si svolse tra Patrizi e
Plebei. Esso si svolse su più piani: politico, economico e sociale.
Sul piano politico, il punto
centrale fu essenzialmente la direzione dello Stato repubblicano. Più
articolato fu il contrasto sul piano economico che riguardava due aspetti.
Anzitutto la richiesta plebea di ottenere un alleggerimento dei debiti e
inoltre l’accusa che i Plebei rivolsero ai Patrizi di voler conservare la terra
come “ager publicus” (formalmente
proprietà dello Stato, ma lasciato allo sfruttamento dei privati) al fine di
potersene impadronire e di sfruttarlo a vantaggio loro e dei loro clienti e
amici. Per quanto concerne l’aspetto sociale del conflitto il punto centrale fu
dato dall’assenza di Conubium (divieto
di matrimonio fra Patrizi e Plebei).
Il mutamento costituzionale
avutosi con il passaggio dalla monarchia alla repubblica portò una netta
separazione tra le funzioni religiose e quelle politico militari, in precedenza
riunite nella persona del sovrano. La suprema dignità sacerdotale passò al Rex
Sacrorum e più tardi al Pontefice Massimo. Al primo Magistrato della repubblica
fu invece attribuito il comando degli uomini in armi con la conseguente facoltà
di esercitare rispetto a tutti i cittadini quell’ampio potere di coercizione
che fu una tipica manifestazione dell’imperium
militare (comando militare). Al fine di limitare questo potere ed evitare
possibili abusi si crearono varie leggi che sancirono che nessun Magistrato
potesse mettere a morte un cittadino romano se questi avesse richiesto il
giudizio popolare (verso la metà del V sec. a.c. fu introdotta la regola che
quando un cittadino era condannato a morte la decisione spettava ai comizi
centuriati.).Questa Provocatio ad
populum, è considerata dai pubblicisti romani, uno dei pilastri della
costituzione repubblicana.
Il maggiore organo dell’età
repubblicana fu il Senato. Esso
derivò dall’antica Assemblea dei Patres delle antiche genti patrizie. Nel corso
del quarto secolo a. C. divenne un organo a composizione mista patrizio-plebea.
Infatti, dopo l’accesso al Consolato avvenuto nel 366 a. C. (primo console
plebeo Lucio Sestio Laterano), i Plebei furono ammessi alla Dittatura nel 356
a. C. (primo dittatore plebeo Publilio Filone), alla Censura nel 351 a. C. e
alla Pretura nel 337/6 a. C. e dunque, attraverso la titolarità delle
Magistrature curuli, essi cominciarono a far parte del Senato. Pertanto
quest’Assemblea risultò composta da Patres,
Senatori provenienti dagli antichi Patrizi, e da Conscripti, Senatori di origini plebea.,
Alcune funzioni rimasero
comunque sempre ad esclusivo appannaggio dei Patres quali: l’Auctoritas e
l’Interregnum. L’Auctoritas patrum
consistette nella conferma, convalida o ratifica delle delibere delle Assemblee
popolari. L’Interregnum, invece, era
un procedimento adottato nel caso in cui venissero a mancare entrambi i Consoli
senza che fossero stati nominati i successori. In tale eventualità, tutto il
potere, nella sua pienezza, tornava ai Patres (dieci in tutto). Ognuno di
questi 10 Patres lo esercitava per turni di cinque giorni fino a quando con
nuove elezioni non era ripristinata la normalità.
Il numero dei Senatori variò
nel corso dei vari secoli. Secondo la tradizione, Tarquinio Prisco in età
monarchica ne fissò il numero in 300, Silla lo raddoppiò, Cesare elevò la sua
composizione portandolo a 900 prima a 1000 poi. Augusto riportò il numero dei
Senatori a 600.
Del Senato facevano parte,
oltre ai precedenti Senatori (difficilmente era decretata una rimozione) coloro
che avessero rivestito una Magistratura. I partecipanti al Senato erano
distinti in Censori, Consoli, Pretori, Edili, Tribuni e Questori. Il patrizio
più anziano tra i Censori aveva il titolo di Princeps Senatus e fungeva da portavoce ufficiale del consesso e
aveva inoltre il diritto di esprimere per primo il proprio parere. La gerarchia
sopra esposta era rilevante non solo per il prestigio e la dignità che
l’appartenenza ad una o all’altra categoria attribuiva ai singoli Senatori ma
anche perché il Magistrato che presiedeva una seduta era solito interpellarli
seguendo rigorosamente l’ordine di rango. Pertanto capitava che i primi
riuscivano con il loro voto ad influenzare tutto il consesso. Al Senato era
riconosciuta un’ampia gamma di competenze e su di esse aveva la possibilità di
esercitare vasti poteri di intervento. Riportiamo solo alcune delle principali
funzioni:
Importanti nell’epoca
repubblicana furono anche le Assemblee
popolari quali: i Comizi curiati, i Comizi centuriati, i Concili plebei e i
Comizi tributi.
I Comizi curiati, derivati dalla remota Assemblea delle Curie, avevano competenze
limitate essenzialmente ristrette al compimento di pochi e determinati atti
solenni, tutti di tipo arcaico e dalle forti implicazioni sacrali.
In essi si pronunciava
inoltre la lex curiata de imperio,
con cui si confermava il potere dei Magistrati maggiori (non dei Censori).
Questa lex pur ritenuta sempre necessaria era, in epoca repubblicana, un atto
meramente simbolico.
I Comizi centuriati, derivati dalla trasformazione in forme politiche dell’antica
Assemblea del popolo riunito nell’esercito centuriato, furono i più importanti Comizi repubblicani. Come già detto, in
base al censo i romani furono distribuiti in “5 classi”. In tutto le Centurie
furono 193 ed in esse i Patrizi dominavano disponendo da soli di 98 Centurie.
Questi Comizi potevano essere convocati solo dai Magistrati dotati di imperium.
Le loro competenze (in origine avevano anche la possibilità di legiferare poi
trasferita ai Comizi tributi), rimasero le leges
de bello indicendo, solenni deliberazioni con cui il populus approvava
(solo molto in epoca tarda decideva) le dichiarazione di guerra, e le leges de potestate censoria, con le
quali si conferivano i poteri ai Censori.
I Concili plebei erano Assemblee alle quali partecipavano solo plebei e potevano essere
convocati solo dai Tribuni e dagli Edili plebei. Con il tempo poterono anche
legiferare, soprattutto nel campo del diritto privato e processuale.
I Comizi tributi furono Assemblee del popolo intero ordinato in tribù e non in Curie o
Centurie. Roma nel 241 a. C. era divisa in 35 Tribù, 31 rurali e 4 urbane. I
cittadini erano iscritti alle varie Tribù rurali in base alla sede in cui
avevano il fondo mentre nelle quattro tribù urbane erano iscritti i
nullatenenti. (coloro che non avevano alcun fondo). Questi Comizi avevano
competenza essenzialmente nell’attività legislativa e nella elezione dei
Magistrati minori.
Nel 367 a .C. con le leges Licinae Sextiae, si determinò un
riassetto istituzionale dello strutture dello Stato Repubblicano, stabilendosi
una ben definita gerarchia tra le varie Magistrature. Furono, infatti, definite
le Magistrature maggiori e quelle minori.
Al vertice il Consolato, la Pretura e la Dittatura
(con il relativo Magister equitum): tutte
magistrature maggiori dotate di imperium, ordinarie e permanenti le prime
due, straordinaria la terza.
La loro titolarità
comportava, in genere, le seguenti attribuzioni:
-
il
comando militare con connessi grandi poteri coercitivi;
-
la
facoltà di indire le leve;
-
il
potere di coercizione per ottenere l’obbedienza dei cittadini e dei Magistrati
inferiori;
-
la
facoltà di emanare e pubblicare nel Foro particolari disposizioni o programmi
di governo in materie di propria competenza (ius edicendi);
- la capacità di assumere gli auspici maggiori e quindi il titolo per il trionfo (il quale si poteva esercitare solo in caso di vittoria militare avvenuta sotto i propri auspici).
Questi Magistrati, ad
eccezione del Dittatore erano eletti,
per un anno, dai Comizi Centuriati
convocati e presieduti da un Magistrato di rango maggiore o pari a quello degli
eligendi.
Magistrati maggiori erano
anche i Censori che però erano privi
di imperium ed erano eletti per 18 mesi, di regola ogni quinquennio.
Segno visibile della titolarità
dell’imperium (comando militare) era, tra l’altro, l’accompagnamento dei Littori (scorta personale 12 per
ciascun Console, 24 per il Dittatore) i quali però potevano innestare i fasci
nelle scure solo fuori della città. Il divieto di entrare in città esercitando
l’imperium militare si sospendeva soltanto in occasione della celebrazione del
trionfo, per consentire al trionfatore di recarsi con l’esercito in armi a
rendere grazie, attraverso la via trionfale, a Giove Capitolino. In questo
stesso giorno era concesso al Console vittorioso di indossare a Roma il Paludamentum, la corte veste porpurea
usata in guerra al posto della Toga
Praetexta, l’abito bianco orlato di porpora usato in città.
Si tratterà adesso, per
sommi capi, delle singoli funzioni e competenze spettanti ai vari Magistrati,
partendo dall’età della repubblica fino al periodo di Diocleziano.
Erano detti Magistrati
eponimi in quanto davano il nome all’anno in cui erano in carica. I due Consoli
erano titolari del supremo potere civile e militare che li esercitavano collegialmente. Ognuno di loro, ne era titolare
per intero salva la facoltà del collega di bloccare ogni suo atto interponendo
l’intercessio (diritto di veto
capace di impedire o annullare qualsiasi iniziativa intrapresa o realizzata
dall’altro senza sua esplicita o implicita adesione). Le competenze dei due
Consoli erano amplissime, teoricamente illimitate investendo tutti i settori
del pubblico potere con limiti di fatto derivanti esclusivamente dalla citata
provocatio ad populum e dalla esistenza di altre Magistrature dotate di proprio
imperium. Dotati anche dell’imperium
domi (potestà di governo civile) avevano il diritto di convocare il Senato
e il popolo ed il connesso potere di iniziativa legislativa. Legati, di regola,
all’osservanza delle direttive politiche del Senato, essi, quando era
necessario assumere con urgenza decisioni importanti per la comunità si
avvalevano di un ristretto Consilium formato dai Princeps civitatis (ex Consoli).
A differenza degli altri
Magistrati (Consoli e Pretori) non rispondeva degli atti compiuti, né doveva
rendere conto delle somme assegnategli per lo svolgimento delle imprese
militari. Aveva l’obbligo, immediatamente dopo l’investitura, di nominare un
Magister Equitum cui affidare, in subordine, la cavalleria. Questi, oltre che
un Ufficiale, era anche un Magistrato dotato di proprio imperio ed al quale il
Dictator poteva affidare anche il comando dell’intero esercito. Dopo
l’esperienza delle quattro diverse dittature di Cesare (49, 48, 47 e 44 a. C.)
alla dittatura a Roma non si tornò più.
Antonio nel 44 a. C. ne fece
sancire la definitiva abolizione.
Unici Magistrati maggiori
privi di imperium erano i Censori.
Tuttavia essi avevano una potestas particolarmente incisiva e dotati di
auspicia maggiori. Compito primario era l’accertamento del patrimonio dei
cittadini, il cui compito fu svolto inizialmente dai Pretori-Consoli che vi
provvidero l’ultima volta nel 459 a. C.. La censura fu creata nel 434 a. C.
stabilendone la durata in 18 mesi
per ogni quinquennio. Appena investiti della loro potestas, i Censori, che di
norma erano eletti tra i Senatori che avevano già ricoperto il consolato,
emanavano un editto con cui stabilivano la data del censimento ed enunciavano i
criteri che avrebbero seguito per la valutazione dei beni dei cittadini.
Particolare rilievo aveva anche il c.d. regimen
morum, ossia il potere, dei Censori, di controllare a posteriori il
comportamento privato e pubblico dei cittadini tenuto nel precedente lustro.
Inoltre ad essi fu attribuito formalmente, nel 312 a. C., la c.d. Lectio Senatus, ossia il compito di
redigere ed aggiornare periodicamente la lista degli appartenenti al Senato,
scegliendone gli appartenenti tra le persone che avessero ricoperto cariche
pubbliche e che si fossero distinte per particolari meriti.
I Censori erano gli unici
tra i Magistrati repubblicani, ad essere sepolti nel manto purpureo, privilegio
spettante agli antichi Re. La Censura fu abolita nel 50 a. C..
Accanto a queste
Magistrature maggiori vi erano Magistrature
dette minori.
Fra esse ricordiamo:
-
gli
Edili;
-
il
Questore;
-
il
Tribuno della Plebe.
L’Edilità era una Magistratura mista patrizio-plebea, formata da due coppie
sempre formalmente distinte. Gli edili plebei erano eletti nei Concilia plebis
(Assemblea solo plebea), quelli curuli nei Comitia tributa.
Avevano compiti di vigilanza
e di polizia sui luoghi pubblici, provvedevano alla conservazione e alla
distribuzione delle scorte di cereali e dovevano organizzare le feste.
L’organizzazione dei giochi nel corso della Repubblica divenne uno strumento
non secondario di propaganda politica e personale e di acquisto del favore
degli elettori. L’edilità divenne col tempo una tappa non necessaria, ma
consueta e di solito appagante nel cursus honorum (percorrere la carriera
politica).
I Questori, Magistrati minori antichissimi, privi di imperium erano titolari
soprattutto di potestà finanziarie. Essi:
-
erano
eletti nei Comizi tributi;
-
amministravano
l’erario del popolo romano (nel Principato tale competenza passerà ai Pretori);
-
provvedevano
all’erogazione dei fondi necessari alle spese decise dai Consoli secondo le
direttive del Senato;
-
perseguivano
i debitori dello Stato;
-
gestivano
la cassa e i magazzini militari assieme al bottino di guerra.
Ai due Questori che
svolgevano compiti nell’amministrazione cittadina se ne aggiunsero altri detti
“militari” che seguivano i Consoli
per provvedere all’amministrazione finanziaria delle Legioni. Nel 267 a. C. ne
furono aggiunti altri quattro detti “classici”
che erano supervisori dell’attività della flotta. Nell’81 a. C. Silla, per far
fronte alle esigenze delle sempre più numerose province portò il numero dei
Questori a venti. Cesare ne raddoppiò il numero nel 45, ma Augusto ristabilì
poco dopo la regola sillana. Nelle province dove erano inviati rappresentavano
la più alta autorità dopo il governatore.
La Questura rappresentava la
tappa iniziale della carriera politica dei romani.
Con funzioni ausiliari delle
magistrature vi erano sei distinti collegi composti dai Vigintisexviri i quali erano privi di imperio e dotati solo di
funzioni secondarie.
Infine abbiamo i Tribuni della plebe che erano eletti in
numero di dieci per anno dai Concilia plebis tributa (Assemblee della plebe
riunita per tribù). Essi erano dotati di
un potere negativo di intercedere, cioè ciascuno di essi poteva porre un
veto (c.d. intercessio tribunicia)
agli atti di imperio, anche di portata generale, di qualsiasi Magistrato,
paralizzandone l’azione e rendendo inoltre impossibile l’esecuzione delle
decisioni adottate dai tradizionali organi di governo della città che essi
ritenevano pregiudizievoli per gli interessi che tutelavano. La loro persona
dal 449 a. C. in poi fu considerata inviolabile e pertanto furono immuni, a
pena di sacertà (sacer era colui che a seguito dei reati commessi era
consacrato alla vendetta divina), da qualsiasi coercizione da parte dei
Magistrati patrizi. Verso la metà o la fine del secondo secolo a. C. una legge
Atinia riconobbe agli ex tribuni, il diritto di entrare a far parte del Senato
(se scelti dai Censori naturalmente).
L’età della Repubblica finì
con Cesare Augusto. Egli instaurò una nuova forma di governo fondata sul Principe alla cui soggezione tutte le
altre cariche furono subordinate. Al fine di limitare i poteri del Senato non
solo fece delle epurazioni del consesso ma inserì nello stesso parecchi suoi
fedeli partigiani. Creò inoltre un organo come il Consilium Principis, formato da un ristretto numero di Senatori (da
lui scelti) in grado di mediare tra lui e il Senato.
In pratica tutto era
discusso dallo stesso Principe in questo suo Consilium e le decisioni prese
erano poi comunicate al Senato.
Successivamente Augusto
crea, a fianco delle Magistrature repubblicane, una Amministrazione imperiale fondando la sua politica su due principi
ispiratori: il depotenziamento delle Magistrature repubblicane e la
centralizzazione rispetto ad una molteplicità di poteri. I Magistrati di
origine repubblicana, ormai privi di ogni rilevanza politica, scelti dal Senato
attraverso l’interferenza del Principe, svolgevano sostanzialmente funzioni
amministrative di facciata.
Comunque la rilevanza dei
Consoli era data: dal rango in Senato, dal fatto che non solo i governatori
delle provincie senatorie, ma anche quelli di quelle imperiali, nonché
funzionari imperiali, erano tratti dai Consoli. I Pretori mantennero le loro
funzioni giurisdizionali.
Il numero degli stessi passò
da 10 ad un massimo di 16 ed oscillò in base alle varie esigenze.
La Censura abolita nel 50 a.
C. fu ripristinata da Augusto nel 22 a. C.. Tuttavia tale Magistratura cessò di
avere rilevanza autonoma con l’esercizio delle funzioni proprie di essa da
parte di Domiziano che si attribuì la carica di Censore perpetuo (attestata da
monete della fine dell’85 d. C.).
Il Tribunato fu lasciato
senza modificarne i poteri e le prerogative anche se il Princeps aveva una
tribunicia potestas (diritto di veto) superiore a quello di ogni Tribuno.
L’Edilità fu mantenuta, ma
le competenze degli Edili furono ristrette da uguali competenze assegnate ad
altri funzionari imperiali.
La Questura fu l’unica
Magistratura a risentire in maniera relativa del nuovo assetto costituzionale.
Augusto e gli Imperatori che
lo seguirono si prefissero il compito di creare e riformare un’amministrazione
centrale. Augusto se per rispetto del Senato non toccò l’Italia, introdusse
tuttavia le grandi Prefetture. Unico
limite nella creazione di questa amministrazione fu dato dal fatto che Augusto
confidò a schiavi e liberti della sua casa i posti medi, senza pertanto
possibilità di distinguere gli affari privati da quelli dello Stato.
Claudio riorganizzò gli
uffici della burocrazia centrale
affidandola a Liberti di primissimo ordine. E’ tuttavia a partire da Vespasiano
che la burocrazia si specializza e si tecnicizza; e fu col figlio Domiziano che
i Liberti cominciarono ad essere rimpiazzati nei posti importanti dai
Cavalieri.
Già Augusto, al fine di
creare questa amministrazione, si servì del ceto equestre contrapponendolo a
quello senatorio. Il culmine della carriera equestre era rappresentato dalla Prefettura del pretorio e dalla Prefettura d’Egitto.
Il Prefetto del Pretorio era dotato di un immenso potere sia civile
sia militare. Augusto, infatti, creò un corpo di soldati particolarmente vicini
alla persona imperiale ordinati in 9 Coorti sotto il comando di questo Prefetto
(era un corpo speciale più che una guardia del corpo). Questo Prefetto faceva
parte anche del Consilium del Principe.
Altro posto di primo piano
fu la Prefettura d’Egitto, il cui
Prefetto era in sostanza un funzionario che rappresentava pienamente
l’Imperatore nella potente e ricca provincia d’Egitto. L’accesso a tale carica
fu vietato ai Senatori.
Comunque nella sua
riorganizzazione delle istituzioni Augusto tenne conto anche delle aspettative
del Senato. Creò, infatti, il Prefectus
Urbi (Prefetto della città), formalmente un suo rappresentante nel governo
della città affidando tale carica ad un Senatore tratto dai Consoli. Questo
Prefetto era nominato direttamente dal Principe e la durata della sua carica
non era prefissata.
I suoi poteri derivavano da
una rappresentanza diretta del Principe.
L’ultimo periodo della
storia delle Istituzioni di Roma, denominato del Dominato, va dal 284 d. C.,
sotto il regno di Diocleziano, e fu caratterizzato da un impero assolutistico.
Quest’Imperatore deciso a
rafforzare il potere militare chiamò al suo fianco come collega un fedele
Generale, Massimiano affidandogli il governo delle provincie occidentali.
Entrambi gli Imperatori erano investiti del titolo di Augustus. Inoltre,
Diocleziano attuò un’ulteriore suddivisione nel governo dell’Impero nominando
due Cesari. Questo sistema di suddivisione nel governo dell’impero, detto Tetrarchia, aveva non soltanto lo scopo
di assicurare all’Impero un’amministrazione più vigile ed efficace di quanto
essa potesse essere se affidata ad un solo uomo, ma anche di stabilire
preventivamente la successione. Infatti, venendo meno uno dei due Augusti gli
sarebbe subentrato uno dei due Cesari.
L’Impero era comunque,
sempre e formalmente di uno solo. Con Diocleziano la Costituzione Repubblicana
non è che un ricordo, il Consolato era ambito solo in quanto il Console dava
ancora il nome all’anno e la funzione della Pretura era ormai quella di
organizzare i pubblici spettacoli. Né maggiori poteri aveva il Senato le cui
attribuzioni consultive furono assorbite dal Consilium imperiale (divenuto con Diocleziano Consistorium, in quanto i suoi membri dovevano stare in piedi
davanti al Principe).
Con Costantino si tornò per
un breve periodo alla unificazione totale dell’Impero. Ma con figli di
quest’ultimo l’unità dell’Impero comincerà ad essere in pericolo. Entrambi
erano Augusti di pari autorità e governavano su due parti distinte dell’Impero.
Inoltre Costanzo, che governava sulla parte orientale, creò un Senato e un
Prefectus Urbi anche per Costantinopoli cercando di elevare questa città alla
stessa dignità dell’antica Roma. E a partire da questo periodo che Roma perderà
sempre più potere e l’impero d’occidente cadrà formalmente nel 476 d. C., con
la deposizione di Romolo Augustolo.