Il generale «ardito» che disobbediva al Duce

BIOGRAFIE Luigi Emilio Longo racconta la vita di un militare professionista anche nella disfatta

Dalla Russia a El Alamein, Giovanni Messe italiano atipico

(17 gennaio, 2007) Corriere della Sera - Nese Marco

 

 

Nell' autunno del 1940 gli italiani combattevano sul fronte greco. Mussolini, compiaciuto, disse di averli visti «impavidi farsi massacrare». Veramente i soldati, replicò il generale Giovanni Messe, «non sono fatti per farsi massacrare... così dimostrano di non saper fare la guerra». Non era la prima volta che Messe contestava il Duce. In altre occasioni s' era lamentato dell' incompetenza e dello scarso equipaggiamento di ufficiali e truppa. Era un uomo dai modi ruvidi, ma grande condottiero. Forse l' unico italiano che nella Seconda guerra mondiale poteva competere con un Rommel e un Montgomery. Ma stranamente pochi lo ricordano, il suo nome è rimasto nell' ombra. Ora Luigi Emilio Longo cerca di renderlo popolare dedicandogli una biografia (Giovanni Messe, l' ultimo maresciallo d' Italia - Archivio Storico dell' Esercito - pp. 664, 16) che è anche la storia di un' epoca. Messe nasce a Mesagne, in provincia di Brindisi, il 10 dicembre 1883. A 18 anni si arruola come allievo sergente di fanteria. Parte dal basso perché ha solo la quinta elementare. Si fa le ossa in due missioni lontane, in Estremo Oriente, dove i militari vanno a proteggere i connazionali minacciati dalla rivolta dei Boxer, e nel 1911 a Tripoli nella guerra italo-turca. Ma è nel corso della prima guerra mondiale che diventa famoso come straordinario galvanizzatore di uomini. Per fronteggiare gli austriaci dopo la disfatta di Caporetto furono ideati i Reparti d' assalto, i famosi Arditi, gente dura e spericolata. Messe prese il comando del IX Arditi. A metà giugno del 1918 riconquistò i colli della linea del Grappa. L' assalto al Col Moschin fu leggendario e oggi un reggimento paracadutisti dell' Esercito, in memoria dei coraggiosi che compirono l' impresa, porta appunto il nome Col Moschin. La Grande Guerra consegnò alla storia un Messe con tre ferite, ricolmo di medaglie e la promozione a tenente colonnello. Achille Beltrame ne fece l' eroe di una delle famose copertine della Domenica del Corriere. Ci fu ancora bisogno di lui e dei suoi Arditi per domare una rivolta in Albania. Poi il timore che gli irrequieti Arditi in tempo di pace potessero fare danni indusse i capi militari a liquidarli. Messe fu chiamato al Quirinale come aiutante di campo effettivo del re. Nel 1936 Mussolini si ricorda di lui e, col grado di generale di brigata, lo spedisce in Etiopia. Non c' è azione bellica da cui rimane fuori. Al ritorno lo aspetta di nuovo l' Albania, va a occupare Tirana. Quando divampa la Seconda guerra mondiale, l' ambizione di Mussolini non è assistita da una pari pianificazione e disponibilità di armamenti. Nell' avventura contro la Grecia il Duce schiera 150 mila uomini con pochi e antiquati mezzi di artiglieria. Perdipiù le operazioni si svolgono in una confusione spaventosa e l' esercito greco ne approfitta sferrando un attacco a sorpresa. Allora il Duce chiama Messe, gli ordina di partire e formare con le truppe che avrebbe trovato sul posto un Corpo d' armata «di rottura». Espressione mai sentita prima dal generale, il quale vuole sapere se sono già schierate truppe d' assalto. «Siete un vecchio Ardito - lo congeda Mussolini - le formerete voi». Messe la interpretò come un' ennesima prova del dilettantismo con cui si programmavano le operazioni militari. Si mise all' opera e per quanto possibile ridusse i danni. Diversamente dagli altri comandanti, viveva in mezzo ai suoi uomini e spesso andava all' assalto con loro. Un giorno scrisse alla moglie: «Me li sono fatti venire tutti intorno, erano circa 1200, e ho parlato loro pianamente e affettuosamente delle loro famiglie, della nostra Patria». La smania di Mussolini di stare al passo con Hitler lo spinge a concepire la sciagurata campagna di Russia. Nell' estate del 1941 prende forma il Csir, Corpo di spedizione italiano in Russia, con 216 treni partono 62 mila uomini dotati di vecchie armi. Li comanda Giovanni Messe, che però considera l' iniziativa un errore. Gli italiani riescono a respingere i russi, conquistano qualche villaggio e per un paio di mesi se la cavano. Ma quando il comando tedesco, dal quale dipendono, pretende uno sforzo in più, Messe si oppone. Tiene testa ai generali nazisti, dice a muso duro che i mezzi degli italiani sono limitati, non si può spremere gli uomini più di tanto, e rinfaccia ai tedeschi di non mantenere i patti secondo i quali devono fornire adeguati approvvigionamenti. L' inverno è spaventoso, il termometro scende fino a meno 47. Ma a Roma Mussolini pensa in grande. Nell' estate del ' 42 crea l' Armir, Armata italiana in Russia, composta da 7 mila ufficiali e 220 mila soldati. Al comando si installa il generale Italo Gariboldi, che Galeazzo Ciano definisce «un fesso». È una trovata di Ugo Cavallero, il capo delle forze armate, il quale mal sopporta la crescente ascesa di Messe e gli piazza sulla testa lo scialbo Gariboldi. I contrasti sono inevitabili. Messe chiede di essere sostituito e il 1° novembre 1942 torna a casa. Si risparmia il dramma successivo degli italiani battuti, accerchiati e in fuga disperata. In quello stesso periodo, le truppe dell' Asse pativano la disfatta anche sul fronte africano. Avevano lasciato 25 mila morti a El Alamein, mentre affluivano ingenti forze americane e inglesi. Di nuovo Mussolini giocò la carta Messe. Lo mise a capo di un' Armata composta soprattutto dagli sbandati in terra africana con il compito di inchiodare gli angloamericani in Tunisia. Era vitale bloccarli e impedirgli di compiere il salto verso l' Europa. «In soli 20 giorni», riconobbe il generale tedesco von Armin, Messe rianimò reparti che erano alla deriva e riaccese in loro una luce di orgoglio. Continuava però a non intendersi con i tedeschi. Ebbe uno scontro con Rommel, che però il 9 marzo 1943 lasciò l' Africa per sempre. La «volpe del deserto» non c' era quando Messe guidò la battaglia del Mareth e impedì agli alleati di sfondare. La radio inglese attribuì la dura resistenza al genio di Rommel. «Nella loro prosopopea - commentò Messe - non ammettono di essere stati battuti da un generale italiano». In seguito, però, Montgomery gli rese omaggio. Ma in quel momento, per quanto fosse efficace la strategia di Messe, tutto era contro di lui. Montgomery disponeva di 500 carri armati, a lui ne erano rimasti appena 16. I tedeschi dell' Afrika Korps stavano peggio: potevano contare solo su 2 carri. La fine si avvicinava inesorabile. L' 8 maggio 1943 gli alleati conquistarono Tunisi. Il 12 maggio il Duce trasmise a Messe l' ordine di arrendersi: «Siete nominato Maresciallo d' Italia, onore a voi e ai vostri prodi». Fu l' ultimo a fregiarsi di quel titolo istituito da Mussolini. Prigioniero, Messe fu trasferito in Inghilterra, in un luogo vicino a Oxford. Ci rimase poco più di 5 mesi. Dopo la caduta del fascismo e il passaggio dell' Italia con gli alleati, il 7 novembre fu trasferito a Brindisi. Badoglio cercò di tagliarlo fuori. Ma il re lo fece nominare capo di stato maggiore generale. Nel tentativo di riordinare le forze armate si scontrò con alti ufficiali che cercavano di riciclarsi e con gli alleati che non si fidavano di un esercito italiano ricostituito. Facevano difficoltà anche i politici che si affacciavano alla ribalta, guardavano le forze armate con sospetto. Questo costò ai militari una forma di isolamento durata fino agli anni Ottanta, epoca della prima spedizione in Libano. Giovanni Messe lasciò la divisa il 4 aprile 1947. Nel 1953 fu eletto senatore coi voti democristiani. Morì nel 1968 a 85 anni.