LE CAMPAGNE DI GALLIA = L’epopea di Caio Giulio Cesare

Nel 58 a. C., al termine del suo anno di Consolato, Cesare diventò Propretore della Gallia Cisalpina e dell'Illiria con tre Legioni. La Gallia Cisalpina equivaleva all'Italia Settentrionale, comprendendo tutta l'opulenta vallata del Po.

Il suo mandato sarebbe durato cinque anni invece che uno solo. Successivamente gli fu assegnata anche la Gallia Narbonese. Era questa la provincia per antonomasia da cui il successivo nome di Provenza.

Fino a quel momento il suo campo d'azione era stato la politica. Ora si trovava ad essere Governatore di una regione che controllava il lato settentrionale della potenza romana. Una regione a contatto con tribù turbolenti, come i Germani ed i Belgi, che in lunghi anni precedenti avevano creato molti problemi alla sicurezza dell'Urbe.

Era la stessa frontiera settentrionale da cui, secoli prima, erano transitati quei Galli giunti quasi alla conquista del Campidoglio.

Le turbolenti province gli dettero l'occasione di mettere in luce le sue capacità di condottiero militare con una serie d’otto campagne che si protrarranno per nove anni.

Prima campagna (mar. 58)

Nel marzo 58, il popolo degli Elvezi, ubicato ai confini romani nella zona tra il lago di Costanza e la catena del Giura, pressato dai Germani, si preparava ad uscire dalle aspre montagne con l'intendimento di raggiungere fertili regioni galliche della costa oceanica. Per attuare questo disegno gli Elvetici dovevano transitare dalla provincia romana della Gallia Narbonese. Tutta un'intera tribù, compresi anziani, donne e bambini, per un totale di circa 400.000 persone (numero elevatissimo per quei tempi) intendeva attuare una colossale migrazione.

In solo otto giorni, con una velocità operativa eccezionale, Cesare si portò a Ginevra, sul Rodano per impedire il passaggio degli Elvezi sull'unico ponte in pietra.

Occorre qui, per inciso, anticipare subito che la ricerca della velocità operativa costituirà preoccupazione costante per Cesare che adottò sempre le opportune predisposizioni logistiche per conseguire tale risultato.

Ma ritorniamo alla campagna contro gli Elvezi. Giunto in loco, Cesare abbatté il ponte ed organizzò a difesa tutta l'area, negando il transito.  Gli Elvezi furono costretti a seguire un'altra strada che passava attraverso le zone abitate dalla tribù degli Edui. Cesare era in ogni caso determinato allo scontro ed affrontò gli Elvezi con la scusa che gli Edui, antichi alleati romani, gli avevano chiesto di intervenire a difesa del loro territorio.

Questa sua determinazione era dettata anche dalla pericolosità d’avere come confinante, in un'area pianeggiante e fertile, un popolo bellicoso come gli Elvezi con cui la convivenza sarebbe stata senz'altro difficile. Con un abilissimo discorso rivolto ai suoi Legionari con cui ricordava i precedenti dolorosi trascorsi con le varie tribù degli Elvezi, eccitò fortemente l'animo dei suoi uomini.

Lo scontro principale con gli Elvezi avvenne a Bibracte e si risolse con una brillante vittoria romana. Gli Elvezi superstiti, ridotti ad un terzo delle forze iniziali, dovettero ritornare da dove erano venuti.

Si concludeva così la prima delle sue otto campagne galliche.

Seconda campagna (settembre 58)

Sul Teatro operativo della Gallia emerse ora un nuovo e più forte pericolo rappresentato dal popolo germanico degli Svevi capeggiati da Ariovisto. Quel popolo si era già infiltrato nelle aree della Gallia adiacenti alla provincia romana.

I Galli ne denunciavano le mire espansionistiche e paventavano di essere del tutto scacciati dal loro territorio natale.

Già centoventimila Germanici avevano attraversato il Reno attratti dalla fertilità delle terre. Cesare avviò un tentativo di dialogo con Ariovisto cui questi rispose con tracotanza. La parola era ormai alle armi. Cominciava la seconda campagna gallica (settembre 58 a.C.).

Ariovisto manovrò per isolare le truppe romane e bloccarne i rifornimenti, ma Cesare affrettò lo scontro finale. Fu un sanguinoso corpo a corpo che si risolse con l'intervento della Cavalleria romana. Gli Svevi, che fino a quel momento avevano trionfato in tutte le loro battaglie, si dettero alla fuga verso il Reno. I Romani non dettero loro tregua e li incalzarono con un vigoroso inseguimento. 80.000 Svevi persero la loro vita. Lo stesso Re Ariovisto morì per le ferite riportate.

Era terminata la seconda Campagna gallica.

Terza campagna (primavera 57)

Ma un nuovo pericolo si profilava all'orizzonte. Esso era rappresentato dal popolo dei Belgi, forti e bellicosi, che possedevano un terzo della Gallia. Sfruttando il risentimento antiromano, erano riusciti a costituire una Lega con un esercito di 300.000 soldati, al comando di Galba.

Siamo nella primavera del 57. Aveva inizio la terza guerra gallica.

Senza alcun’autorizzazione da parte del Senato, Cesare si determinò a reagire con immediatezza. Come al solito, accompagnò le azioni militari con iniziative politiche. Queste ultime gli permisero di ottenere la defezione d’alcune tribù dalla Lega antiromana.

Operando, come sempre, con gran velocità operativa, raccolse le proprie forze ed in 15 giorni fu al confine belga. Attaccò subito i Belgi presso Axona, li mise in fuga ed inseguì ad una ad una le varie tribù della Lega antiromana mostrandosi spietato ed infliggendo gravi perdite.

Si concludeva, ancora vittoriosamente, la terza campagna gallica.

In poco più di un anno, sconfiggendo Elvezi, Svevi e Belgi, Cesare aveva esteso i domini della Repubblica acquisendo le ricche valli della Gallia sconosciuta.

Quarta campagna (inverno 56)

Ma la situazione non era tranquillizzata. Dopo meno di un anno, nell'inverno 56, esplose un nuovo conflitto con la tribù dei Veneti, stanziata nell'odierna Bretagna.

Questa tribù, con il sostegno della non lontana isola della Britannia, si ribellò dando vita ad una nuova Lega antiromana. I Veneti utilizzavano truppe anfibie le cui basi erano costituite da alcuni promontori di difficile accesso per via terra.

Qui rifulsero le capacità militari di Cesare che individuò con chiarezza il punto d’applicazione del suo sforzo. L'investimento delle fortezze via terra era difficilissimo ed avrebbe comportato molte perdite.  Diede quindi ordine di costruire rapidamente una flotta. Per la prima volta imbarcazioni romane combattevano nell'alto Atlantico (come vedremo, non sarà questo il solo “record militare” romano detenuto da Cesare).

Gli scontri navali tuttavia non si rivelavano risolutivi soprattutto per la superiorità del naviglio dei Veneti. Qui emerse la capacità d'inventiva di Cesare.

Il punto debole delle navi avversarie consisteva nel fatto che erano mosse solo dalle vele perché non disponevano di rematori. Cesare fece approntare delle lunghe falci con cui, una volta a contatto, potevano essere tagliate le corde delle navi e quindi immobilizzarle. Ciò rendeva possibile l'abbordaggio ed il combattimento corpo a corpo. Nello scontro finale i romani furono, ancora una volta, vittoriosi. Ed ancora una volta Cesare fu spietato eliminando tutti i cittadini veneti più autorevoli e vendendo gli altri come schiavi.

Si concludeva la quarta campagna gallica.

Quinta campagna (inverno 55)

Nell'inverno del 55 alcune tribù germaniche superarono in massa il Reno per invadere la Gallia. Si trattava di 400.000 persone (come al solito, con al seguito anziani, donne e bambini). Questa volta i Galli, invece di chiedere l'aiuto a Roma, si accordarono con i Germani, sostenuti anche dai Britanni.

Cesare tentò le usuali iniziative politiche per dividere fra loro le tribù coalizzate nella nuova lega antiromana. I Germani tentarono una soluzione diplomatica, ma Cesare fu inflessibile: considerava il Reno una frontiera invalicabile e non poteva, quindi, accettare nessun colloquio fino a quando essi sostavano nella Gallia. Fu inevitabile il ricorso alle armi, innescato, durante i colloqui, da un'imboscata in cui un reparto di Cavalleria romana fu attaccato a tradimento e distrutto.

La reazione di Cesare fu pronta e spietata. Gli accampamenti dei Germani furono rasi al suolo e le vittime si contarono a centinaia di migliaia. Ben pochi Germani riuscirono a ripassare il Reno. Questo non bastò a Cesare; era necessaria un'azione clamorosa per incutere timore e rispetto se si voleva che la Gallia potesse essere tranquilla. Con una realizzazione di rara ingegneria genieristica fece costruire un ponte di legno sul Reno nei pressi di Coblenza. Fu un’opera immane realizzata in soli 10 giorni, una mirabile opera d’ingegneria militare.

Era il primo ponte gettato su quel fiume, com’era la prima volta che un esercito romano passava il Reno (altro record di Cesare). L'intento era chiaramente dimostrativo, ma ebbe un grande effetto deterrente. Dopo 18 giorni di razzie e distruzioni, ritornò nella Gallia ordinando di distruggere il ponte.

Si concludeva così la quinta campagna gallica, ma iniziava subito la sesta.

Sesta campagna (agosto 55 e luglio 54)

L'intenzione era di punire i Bretoni che avevano aiutato i Germani. Concepì, pertanto, l'idea di invadere l'isola dei Britanni.

Anche in questo caso la finalità dell'azione era a carattere dimostrativo e deterrente. Occorreva convincere i Britanni che il loro isolamento non era tale da trattenere le armi di Roma. Quest’azione, insieme col passaggio del Reno, avrebbe avuto anche grande eco a Roma, aumentando il prestigio di Cesare. Già dopo alcuni giorni dall’escursione di là del Reno, nell'agosto del 55, Cesare era sulle rive dell'Atlantico e salpava con la flotta con destinazione la Britannia.

Dopo una prima spedizione durata solo 15 giorni rientrò in Gallia essendosi reso conto della necessità di mettere a punto un dispositivo più consistente. Nel luglio del 54, infatti, con cinque Legioni, 2000 Cavalieri ed 800 vascelli, sbarcò di nuovo in Britannia. Incontrò un’accanita resistenza con un nemico che alternava attacchi massicci ad azioni di guerriglia. Cesare ricorse alla stessa tecnica. Insegnò rapidamente ai suoi uomini a compiere anch'essi azioni di guerriglia. Riuscì a costringere l'avversario a rinserrarsi in una fortezza che attaccò e distrusse con una manovra a tenaglia. I Britannici offrirono la resa.

Cesare accettò, convinto di aver conseguito lo scopo di mostrare ai Britanni la potenza e l'audacia di Roma e di distoglierli dal tentare imprese di qualunque genere in Gallia.

Settima campagna (settembre 54)

Alla fine di settembre tornò in Gallia ove la situazione era diventata ancora una volta turbolenta. Per assicurarsi il controllo del grande territorio conquistato, Cesare aveva suddiviso il suo esercito in otto campi base. Una nuova rivolta  scoppiò ad opera degli Eburoni capitanati da Ambiorige che assalirono di sorpresa un campo romano. I romani seppero resistere, ma nel corso di colloqui con lo stesso Ambiorige furono consigliati di abbandonare il loro campo per unirsi alle altre forze poiché era preannunciata un’insurrezione generale. I romani caddero nel tranello ed abbandonarono il campo base. Furono attaccati in un’imboscata e trucidati in gran numero. Avuta la notizia, Cesare si fece crescere barba e capelli giurando che non li avrebbe più tagliati fino a quando non avesse vendicato la grave offesa.

La situazione era difficile perché si era costituita una nuova lega antiromana. Si era nella primavera del 53, Cesare fece affluire da Roma altre Legioni e con ripetuti scontri sconfisse una ad una le tribù ribelli. Per completare l'opera era necessaria un’azione contro i Germani che avevano concorso alla ribellione. Costruì un altro grande ponte in legno sul Reno, vicino a Bonn, ed entrò di nuovo in territorio germanico. Vi rimase tre mesi mettendo a ferro e fuoco l'intera regione. Poi rientrò convinto di aver conseguito un sufficiente risultato di deterrenza.

Terminava la settima campagna gallica. E l’obiettivo era stato raggiunto: per secoli la minaccia germanica non si presenterà più su quelle acque.

Ottava campagna (febbraio 52)

Le tribù della Gallia erano di nuovo insorte. I primi eventi si ebbero nel febbraio del 52 ad Orleans quando furono catturati e trucidati mercanti romani stanziatisi nei territori conquistati. La nuova Lega degli antiromani scelse l'inverno per attaccare, convinti che la neve delle Alpi avrebbe ritardato od impedito l'arrivo del proconsole. Ma Cesare fu ancora una volta velocissimo e portò con sé nella Gallia nuove Legioni appena arruolate. Iniziava l’ottava ed ultima campagna gallica. La più dura!

A capo della nuova coalizione antiromana era un giovane principe di 30 anni, Vercingetorige. Dopo sei anni di campagne, iniziava per Cesare il passaggio più delicato. La stessa opinione pubblica romana era ormai stanca di questa guerra gallica che si era creduta finita e che ricominciava ogni volta.

Per prima cosa Cesare riunì le forze. Dopo i primi scontri favorevoli ai Romani, Vercingetorige convinse i suoi alleati che l'unica tattica da adottare era quella della guerriglia, facendo terra bruciata di tutte le città e villaggi. E così fu fatto ad eccezione della città di Avarico che assediata dai romani capitolò dopo 25 giorni.

Incoraggiato dalla vittoria, Cesare fece un errore. Divise in due l'esercito, affidandone una metà al suo miglior luogotenente Labieno per un'azione verso nord e dirigendosi lui, con l'altra metà, ad assediare la città di Gergovia, capoluogo degli Averni, la tribù di Vercingetorige. L'assedio non riuscì ed i romani dovettero ritirarsi con notevoli perdite. Era la prima sconfitta subita da Cesare e la sua eco fu vastissima sia nelle Gallie sia a Roma.

Da Roma giungeva anche la notizia che il Senato aveva prorogato per altri tre anni (fino alla fine del 46) l'imperium consolare di Pompeo. Grandi e minacciose nubi politiche si profilavano all'orizzonte.

Ma ancora più grave si presentava la situazione nella Gallia. La consistenza nemica era ormai giunta alle 300.000 unità e Vercingetorige considerò giunto il momento di abbandonare la pratica della guerriglia e ricercare scontri campali.

Ed era anche quello cui aspirava Cesare: attirare Vercingetorige in un luogo in cui i Romani, in forze, gli avrebbero inflitto una sconfitta risolutiva. Il problema era quindi quello di costringere il nemico a battersi in un luogo da lui prescelto. E la trappola scattò inesorabile. I romani fecero finta di ritirarsi e Vercingetorige fu loro addosso.

Lo scontro coinvolse forze di limitata entità e si concluse ancora una volta a favore dei romani, che misero in fuga Vercingetorige. Questi (come aveva ipotizzato Cesare) si rifugiò nella vicina città fortificata di Alesia, convinto di potervi ripetere la performance di Gergovia.

Nella conquista di quella roccaforte dall'apparenza inespugnabile si rivelerà, invece, la genialità militare di Cesare che vi impiegò una nuova strategia, circondando la città con due colossali anelli di controvallazione e di circonvallazione, lunghi ciascuno circa 20 Km., distanti da loro 200 metri, preceduti da più ordini di trappole, con torri ogni 30 metri e 23 ridotte fortificate.

Fu addirittura deviato il corso di un fiume per farlo passare all'interno di una delle trincee ed assicurarsi l'acqua per i Legionari.

Si realizzava così un doppio fronte, uno rivolto all'assedio della città e l'altro destinato a resistere agli attacchi esterni. Il tutto fu completato in 40 giorni sotto i continui attacchi nemici. In questa gigantesca opera di fortificazione campale trovarono sistemazione 75.000 legionari e 6.000 cavalieri.

I due anelli erano raccordati da bretelle di collegamento per manovrarvi adeguatamente le forze. Trovava così piena attuazione il principio della manovra (per linee interne) anche in un’azione prevalentemente statica come un assedio.

Per alleggerire la pressione Vercingetorige tentò varie sortite ed alla fine mandò via dalla città vecchi, donne e bambini per ridurre il numero delle bocche da sfamare. Ma i romani li rimandarono indietro senza lasciarsi intenerire dalle loro condizioni di estrema indigenza. Giunsero anche soccorsi dall'esterno e furono rinforzi di grande consistenza, pari a circa 250.000 uomini. Vercingetorige tentò congiuntamente anche alcune sortite dall'interno. Per tre volte furono sviluppati attacchi congiunti (dall'esterno e dall'interno) contro i romani. Ma Cesare muoveva i suoi uomini con perfetto tempismo sfruttando l'ingegnoso lavoro realizzato con un senso topografico di rara lucidità e perspicacia.

La demoralizzazione si impadronì delle truppe galliche. In particolare le tribù che attaccavano dall'esterno, a poco a poco, abbandonarono la lotta. Con loro Vercingetorige vedeva allontanarsi anche le ultime speranze. Decise di pagare lui per tutti. Vestite le sue armi più lucenti, uscì solo dalla città, si presentò a Cesare cui, deposte le armi, offrì sé stesso e la resa. La nobiltà del suo gesto non valse a migliorare la sua sorte. Non era costume dei romani perdonare chi aveva rotto un patto di fede. Vercingetorige era stato accolto tra gli amici del popolo romano. Aveva tradito e non meritava il perdono. Fu portato a Roma per essere mostrato come un trofeo di guerra, tenuto in prigione e poi giustiziato sei anni più tardi.

Come dirà Napoleone nei suoi commenti alle guerre galliche di Cesare, la sconfitta dei Germani fu la salvezza dei Galli. Per ancora 4-5 secoli il Reno sarebbe stato la barriera naturale contro l'espansione dei popoli dell'Est. Dalla vittoria di Cesare cominciava anche la romanizzazione della Gallia. La Francia deve a Roma ed a Cesare non solo il suo ingresso nell'orbita della civiltà mediterranea, ma anche la salvezza e la conservazione di quegli elementi celtici che Roma rispettò.

Dopo nove anni ed otto campagne era terminata la lunga lotta per la definitiva conquista della Gallia. Si trattava di una grande opera che doveva dare all'Europa occidentale l’indelebile impronta latina e determinarne per secoli il pensiero e l'azione.