Torna il Tricolore Cade l’ultimo tabù (Corriere
della sera, 5 gennaio 2003) A Milano, davanti alla
casa di Alessandro Manzoni, penzola triste e attorcigliato come un fusillo,
frusto, sporco, ingrigito, e pare piuttosto la vela del vecchio pescatore di
Hemingway, «la bandiera di una sconfitta perenne». Altrove, per lo più, non
va molto meglio. Eppure il Tricolore non se la passa così male come si
direbbe a passeggiare nelle nostre città, per la bandiera nazionale sembra
anzi arrivato il momento della riscossa. E in buona parte grazie a quel
ragazzo di ventitré anni, laurea in lettere e diploma alla Normale di Pisa,
che visse l’8 settembre da ufficiale dell’esercito e divenne partigiano,
scampò ai rastrellamenti dei tedeschi, traversò la Maiella nel gelo e nella
fame fino a barattare un paio di stivali con sette chili di grano, e in tutto
questo non cedeva un attimo allo scetticismo, «sarà pure difficile, l’opera
di rieducazione morale e politica, ma perché non volere almeno tentare?». Ora
Carlo Azeglio Ciampi si prepara a compiere un altro passaggio di quella
riscoperta dell’identità nazionale e dei suoi segni - il 2 giugno ma anche
l’8 settembre come inizio del riscatto, un secondo Risorgimento del popolo
italiano - che è una delle cifre principali della sua presidenza: il sette
gennaio, martedì, il Capo dello Stato diffonderà un messaggio e parlerà alla
televisione del Tricolore, il suo senso, la sua storia. La giornata della
bandiera è stata fissata da una legge del 31 dicembre ’96, ma non è un
mistero che il Presidente della Repubblica desideri innalzarla alla dignità
di festa nazionale. Magari ci saranno
discussioni, ma in fondo tutto cominciò con la nascita della Repubblica
cispadana e un bel litigio da campanile in quel di Reggio Emilia: i deputati
di Modena, Ferrara e Reggio minacciarono di andarsene perché si sentivano
prevaricati da quelli di Bologna, finché l’assemblea approvò un testo in cui
si stabiliva che le quattro popolazioni formassero «un Popolo solo, anzi una
sola Famiglia», come si legge nel libro che Tarquinio Maiorino, Giuseppe
Marchetti Tricamo e Andrea Zagami hanno dedicato a Il tricolore degli
italiani (Mondadori). Così, il 7 gennaio 1797, l’assemblea votò
l’adozione della bandiera verde, bianca e rossa suggerita dal patriota ed ex
sacerdote Giuseppe Compagnoni, un vessillo ancora a bande orizzontali che al
centro mostrava le lettere «R.C.», ovvero Repubblica Cispadana. I colori
vennero poi interpretati in senso idealista - speranza (verde), fede (bianco)
e amore (rosso) - ma in realtà avevano origine militare: già nel 1796 la
guardia civica di Milano aveva le giubbe verdi e all’arrivo delle truppe
napoleoniche il verde sostituì il blu del tricolore francese, «un modo per
segnalare che erano rivoluzionari sì, ma italiani», spiega Giorgio Rumi. Ed è un’origine da tener
ben presente, aggiunge Lucio Villari: «Non sono tre pezzi di stoffa messi
assieme, il Tricolore è nato come bandiera repubblicana e rivoluzionaria, non
a tavolino. Per riaffermarlo, perché entri nelle coscienze, bisogna
riconoscerne le radici, altrimenti la pura festività non servirà a nulla: è
giusto ricordare che l’Italia è sorta da questo gesto rivoluzionario della
Repubblica cispadana». La bandiera non è
qualcosa che si afferma in modo «pacifico», la nostra storia è complessa.
Senza contare che l’Italia uscita dal fascismo, con i laici in sparuta
minoranza, si è in gran parte divisa fra due partiti: i cattolici che non
avevano ancora digerito Porta Pia e i comunisti che, quanto a bandiere,
prediligevano il rosso. |
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