L’Europa impari: essere una Superpotenza vuol dire soffrire

(Gianni Riotta – Corriere della Sera del 12 gennaio 2003)

(le note in corsivo sono state inserite nel testo a cura della redazione del sito del 19°)

 

Guidare il mondo significa condividerne i mutamenti.

E anche la strada della diplomazia contrapposta alle armi va percorsa senza ipocrisie

 

Dati di sintesi

Gli Usa diventano una potenza globale solo dopo due guerre mondiali e la ricostruzione in Europa e Giappone

Samuel Huntington considera la crescita dell’UE il solo vero passo verso un mondo multipolare

L’UE spende 93 miliardi di euro in sussidi verdi; i Paesi poveri ne ricevono in tutto 50 in aiuti

Tre milioni e 600 mila statunitensi lavorano in aziende controllate da azionisti europei.


Che requisiti occorrono per l'iscrizione al club delle superpotenze? Il 2003 è un anno chiave per l'Europa, se davvero vuole entrare a far parte del circolo esclusivo che, caduta la Russia, elenca un solo socio, gli Stati Uniti, e la Cina come aspirante. Gli europei, giustamente, riluttano davanti a una guida mondiale monoposto, come la Ferrari F1, ma spesso assumono l'atteggiamento dell'antica aristocrazia. Sembra quasi che il titolo nobiliare di «Superpotenza Unione Europea», ci spetti per diritto divino o maggiorasco ereditario.

Non sarà così. I Paesi dell'Unione saranno riconosciuti leader del pianeta se accetteranno con umiltà e responsabilità le sofferenze del ruolo. Lo storico Walter Russell Mead dimostra che gli Stati Uniti diventano potenza globale solo dopo due guerre mondiali e la ricostruzione in Europa e Giappone, decisioni osteggiate da gran parte dell'opinione pubblica interna e perseguite da minoranze illuminate. E lo studioso Anthony Beevor data l'atto di nascita dell'Urss-superpotenza a Stalingrado, nella battaglia conclusa 60 anni or sono con un milione e mezzo di vittime.

Guidare il mondo significa condividerne i rapidi mutamenti, pronti a mutare le proprie abitudini. «Gli Stati Uniti spendono per la difesa 300 miliardi di euro l'anno, gli europei 170» calcola l'economista Niall Ferguson. (a questo dato quantitativo occorre affiancare un dato qualitativo sul “rendimento della spesa”. Negli USA le decisioni ed i programmi sono avviati da un solo organo decisionale; in Europa occorre tenere conto della molteplicità dei centri decisionali, costituiti dalle singole Nazioni, con inevitabili compromessi che riducono sensibilmente “il rendimento della spesa”). E' possibile che l'Europa sia loro pari al tavolo delle trattative su Iraq, Medio Oriente, Corea, India e Pakistan, con questo scarto?

Devastata per secoli, l'Europa aborre le armi e propone quindi diplomazia e saggezza, come contraltare ai muscoli. E' una strada raziocinante, il «potere soffice» elogiato dall'ex consigliere di Bill Clinton, Joseph Nye, ma va percorsa senza ipocrisie. L'Europa denuncia il pregiudizio antipalestinese di Washington, ma può proporsi come mediatore credibile quando la popolazione Ue, alla domanda «Quanto vi è simpatica Israele da 1 a 10?», risponde compatta «4 meno»? No: senza equanimità niente «potere soffice».

«L'Unione Europea concede ogni giorno a ogni mucca del Vecchio continente sussidi pari a due euro e 34 centesimi, più di quanto la maggioranza degli abitanti dell'Africa subsahariana abbia per vivere» nota severo l'ex premier svedese Carl Bildt. Usa e Giappone sono altrettanto gelosi delle proprie agricolture, ma se noi europei opponiamo alla potenza militare la solidarietà, come possiamo ostinarci a spendere 93 miliardi di euro in sussidi verdi, quando i Paesi poveri ne ricevono in tutto 50 in aiuti?

Le aspirazioni degli europei sono riconosciute dagli americani, con astio o simpatia. Il professore di Harvard Samuel Huntington considera «la crescita dell'Unione il solo vero passo verso un mondo multipolare». Tre milioni e 600mila statunitensi lavorano già in aziende controllate da azionisti europei. I complimenti non devono però nascondere i fatti. L'innovazione negli Usa («ogni anno è come se aggiungessimo al prodotto interno una nuova Germania» sorride il finanziere Felix Rohatyn) si giova del reclutamento dei migliori cervelli scientifici e tecnici della Terra. Nel 2007 il Pentagono spenderà 500 miliardi di euro in tecnologia: quanti ragazzi europei e asiatici, sulle orme di Fermi e Einstein, emigreranno attratti da quei finanziamenti? La Germania, nostro leader industriale, continua invece a bocciare la legge per ospitare i tecnici stranieri. Siamo un continente protezionista sulle idee, fermo sulle frontiere della ricerca: biotecnologie, nanotecnologie, bioinformatica, studi sul genoma. Abbasso il «fast food» yankee ed evviva lo «slow food» nostrano, certo, ma sulla scienza, non sarebbe meglio essere noi «fast»?

Chi si candida a essere nuovo campione del mondo deve migliorare i record del campione uscente: i nostri mercati tutelano invece sempre lo status quo, restando poi col fiatone davanti all'energia internazionale. Sarà un gran bene per tutti quando l'Europa diventerà superpotenza, ma prima deve superare queste fatiche, con generosità, lungimiranza e fantasia.