IL PRIMO ALLARGAMENTO
DELLA COMUNITA’ (1969 – 1972)
Il successore di De Gaulle fu George Pompidou che per sei anni ne era stato il Primo Ministro. Ma ormai il grande periodo della influenza francese stava tramontando. In Germania, infatti, la vittoria del socialdemocratico Willy Brandt apriva la stagione politica della “Ostpolitik” che avrebbe visto la trasformazione del “nano politico” in grande potenza regionale. La Francia aveva già tentato con De Gaulle, di qualificarsi come unico interlocutore europeo nei riguardi dell’URSS. Ora l’Ostpolitik dava alla Germania un’investitura che la Francia reclamava per sé.
La Francia tentò allora di riprendere la sua leadership europea attraverso un nuovo rapporto con la Gran Bretagna (GB) a controbilanciare il dinamismo tedesco.
Nella conferenza dei capi di Stato e di governo del dicembre ’69 all’Aja, Pompidou propugnò il rilancio del processo d’integrazione indicando tre obiettivi:
· completamento (della politica agricola);
· approfondimento (evoluzione della Comunità in altri settori);
· allargamento (con l’accoglimento delle domande dei Paesi candidati).
All’Aja, tuttavia, cominciò a prendere corpo anche la guida tedesca della politica europea che manifesterà la propria evidenza nel decennio successivo. Per la Germania di Brandt, ormai, il tema europeo passava in secondo ordine davanti all’importanza della Ostpolitik per i suoi riflessi sia nazionali (riunificazione con la Germania dell’Est) sia internazionali.
Nell’aprile del ’70 i Ministri della Comunità riuscirono ad accordarsi per la creazione delle “risorse proprie”, argomento che, come si ricorderà, aveva costituito il “casus belli” che aveva costretto la Francia ad abbandonare gli istituti della Comunità (periodo della “sedia vuota”).
La cassa comune europea era alimentata dai dazi della tariffa doganale esterna e dall’1% dei proventi dell’IVA dei singoli Paesi membri. Col tempo, il gettito dell’IVA costituirà la principale voce dei capitoli della Comunità e, nel 1986, fu aumentata all’1,2%.
I negoziati con la Gran Bretagna ed altri paesi candidati (Irlanda, Danimarca e Norvegia) prevedevano un periodo transitorio per consentire loro di armonizzare la propria produzione agricola con quella della Comunità. I problemi specifici con la GB erano poi derivanti dal fatto che la sterlina costituiva la moneta di riserva del dollaro per le transazioni internazionali, ruolo che non era accettato dai paesi membri della Comunità, già orientati, sin pure nel lungo periodo, all’adozione di una moneta comune.
Gli accordi per l’ingresso dei nuovi Paesi membri (GB, Irlanda, Danimarca e Norvegia) furono firmati nel gennaio del ’72. Tuttavia, a seguito dello sfavorevole esito del referendum nazionale, la Norvegia non entrò nella Comunità.
Nel ’72, quindi, si verifica il primo allargamento della Comunità, da sei a nove membri.
In tal modo essa diventava la prima potenza commerciale del mondo, la più grande produttrice di acciaio ed automobili e superava USA ed URSS in termini di popolazione. Ma il prodotto nazionale lordo era pari al 60% di quello americano.
In quegli anni, tuttavia, la vita della Comunità fu profondamente segnata da due eventi importanti:
· la tempesta monetaria creata, nell’estate del ’71, dalla decisione americana di abbandonare il rapporto tra dollaro ed oro;
· la crisi energetica del ’73, quale ritorsione dei Paesi arabi del Medio Oriente alla vittoria israeliana nella seconda guerra con i paesi arabi confinanti.
Il provvedimento adottato dagli americani fu conseguente ad una significativa modifica introdotta dal Presidente Nixon (novembre ’68), che intendeva abbandonare la politica interventista seguita alla seconda guerra mondiale ed avviare una politica basata maggiormente sull’azione diplomatica (“The era of negotiation”) nei riguardi dell’Unione Sovietica.
Ciò comportò anche la revisione della politica nei riguardi dell’Europa. Infatti, fino a quando erano state prevalenti le esigenze di difesa militare (contro un’ipotizzata aggressione sovietica), gli USA avevano favorito i tentativi di integrazione europea proprio perché essa era ritenuta funzionale alle esigenze di difesa collettiva. Quando, invece, decaddero le esigenze di difesa, gli USA si accorsero che la Comunità europea costituiva ben più di una minaccia sul piano economico. Erano ormai profondamente mutati gli equilibri tra Europa ed USA. Negli ultimi 20 anni, la percentuale americana delle esportazioni mondiali era scesa mentre quella europea era quasi raddoppiata. Le riserve auree degli USA erano calate dal 49 al 16% e quelle europee cresciute dal 6 al 39%.
Ormai l’Europa era cresciuta e gli USA non si sentirono più incaricati, in maniera quasi esclusiva, di un “ordine” politico-militare da cui gli alleati europei traevano grandissimi vantaggi per la loro economia. Gli USA si sentirono, quindi, autorizzati ad una maggiore libertà d’azione per la loro politica interna ed internazionale, specie nel settore economico.
A confermare in maniera dirompente questo orientamento, il 15 agosto del ’71, il Presidente Nixon, senza aver interpellato o preavvisato i Paesi europei, annunciò l’abolizione della convertibilità del dollaro in oro e, in pratica, dette via libera alla svalutazione del dollaro.
Era un messaggio diretto all’Europa, ormai diventata un agguerrito concorrente commerciale.
Fu evidente l’incapacità dei “Sei” a fronteggiare in maniera adeguata la crisi del dollaro.
Erano divisi sulla strada da seguire ed il dilemma di fondo era di definire una priorità fra un’integrazione economica e quella monetaria:
Si cominciò allora a profilare l’idea di una moneta unica, non prevista dai Trattati di Roma.
Nel marzo del ’72 si pervenne ad un primo accordo per una fluttuazione coordinata delle monete (“il serpente dentro al tunnel”), con possibilità di oscillazione in una banda del 2,5% in meno od in più.
Subito dopo il governo inglese, alle prese con gravi problemi economici, chiese una deroga e poco dopo fece anche il governo italiano.
Nell’ottobre del ’72 la conferenza di Parigi indicò quattro direttrici:
· istituzione di un Fondo europeo di cooperazione monetaria;
· programma d’azione in tema di politica sociale per il passaggio alla seconda tappa dell’unione economica monetaria;
· istituzione di un fondo di sviluppo regionale;
· obiettivo di pervenire, entro il 1980, all’Unione economica e monetaria.
Nel gennaio del ’73, una nuova tempesta si abbatté sulle monete europee, tempesta che allontanava il sogno di unificazione monetaria. Si verificò un’ondata speculativa che investiva soprattutto il dollaro: i contraccolpi sulle deboli monete europee (specie quella italiana) furono gravissimi.
Italia e GB furono costrette ad uscire dal “serpente monetario” per bloccare la fuga dei capitali e riequilibrare la bilancia dei pagamenti.
Era il primo avviso, per l’Italia, a rimettere in ordine i propri conti: ma fu un avviso che non venne percepito. Lo sarà solo all’immediata vigilia dell’introduzione dell’Euro.
Un ulteriore grande colpo all’economia europea si verificò nel 1973, a causa dell’embargo petrolifero decretato dai paesi arabi a seguito del conflitto contro Israele (guerra dello Yom Kippur). Dopo l’evento bellico, i paesi produttori riuniti nell’OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countries) decisero di utilizzare il greggio come arma di pressione verso quei paesi accusati di aver sostenuto Israele. Fu quindi decretato un embargo, accompagnato da un fortissimo aumento dei prezzi. In tre mesi, da ottobre a dicembre ’73, i prezzi quadruplicarono ed in 7 anni furono decuplicati.
Il petrolio aveva avuto un ruolo fondamentale, nella crescita delle economie occidentali, dopo la seconda guerra mondiale ed aveva favorito il passaggio dal carbone al petrolio quale principale fonte d’energia. Quando scoppiò la crisi energetica, la dipendenza dei paesi europei dal petrolio arabo andava da un massimo del 99% per la Danimarca, al minimo del 50% per la Germania e l’Inghilterra (per l’Italia il dato era dell’83%). Fu quindi uno “shock” enorme.
I leader della Comunità europea si riunirono a Copenaghen per tentare di dare una risposta comune, ma ancora una volta senza risultati. Ogni paese procederà per proprio conto.
Anche a livello atlantico (USA- Canada- Europa) non si riuscì a trovare una linea comune.
La collaborazione fra Europa e Stati Uniti si ricostituiva invece nei rapporti con l’Unione Sovietica e col mondo comunista. Dopo un lungo periodo negoziale, infatti, furono firmati ad Helsinki gli accordi istitutivi della Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (in sigla CSCE). Essa coinvolgeva 35 Paesi di ambedue i blocchi con l’impegno per la conservazione della pace, l’inviolabilità dei confini, la collaborazione in campo economico e culturale, il rispetto dei diritti umani.
Intanto in Europa si erano avuti due cambiamenti di guida politica:
· in Germania, Helmut Schmidt era succeduto a Brandt;
· in Francia, dopo l’improvvisa morte di Pompidou, era stato eletto Presidente della repubblica Valèry Giscard d’Estaing, repubblicano schierato su posizioni moderate.
Si smorzarono i toni della polemica antiamericana e furono riannodati i fili del dialogo preferenziale fra Germania e Francia. I primi risultati si ebbero nel vertice europeo di Parigi del ’74.
Per uscire dalla paralisi organizzativa in cui si trovava l’Europa, fu deciso di istituzionalizzare i Consigli europei che si sarebbero svolti almeno tre volte l’anno. In tal modo essi confermavano più incisivamente il loro ruolo propulsivo, mentre alla Commissione rimanevano funzioni prevalentemente esecutive, nonché quelle di promozione e di sviluppo.
L’atteggiamento moderato di Giscard si manifestò accettando la proposta che le elezioni per l’Assemblea parlamentare si sarebbero svolte, per la prima volta, a suffragio universale. Questa ipotesi, prevista dai Trattati di Roma, era stata sempre respinta dai leader gollisti.
Questo vertice può essere considerato una delle tappe importanti della storia europea poiché indicò la volontà dei principali protagonisti della vita continentale di reagire alle varie crisi in atto rafforzando le strutture istituzionali della Comunità, nel segno di un progetto confederale, decisamente vincente rispetto alle utopie federali.
In ogni caso le crisi economiche indicate segnarono fortemente la vita della Comunità, tanto che il biennio ’75-76 fu un periodo di quasi paralisi istituzionale.
Alla fine del ’76, cominciò a profilarsi uno spiraglio nella “grande depressione” europea. La mancanza di concertazione tra le banche centrali e di una comune azione di difesa aveva messo in difficoltà il “serpente monetario”, introdotto nel ’72. Via via ne erano uscite (e poi rientrate) la sterlina, la lira ed il franco francese. Alla debolezza di queste monete si contrapponeva la solidità del marco. Si avvertì la necessità che l’azione di coordinamento fosse estesa dal settore monetario a quello dell’economia generale. Dopo vari vertici, fu deciso di varare un nuovo sistema monetario molto più “blindato” rispetto al “serpente”. Fu istituito lo SME che si componeva di tre elementi complementari:
·
l’ ECU
(European Currency Unit);
· il meccanismo di scambio;
· la solidarietà finanziaria.
L’ECU, quale unità monetaria di riferimento, costituiva l’elemento centrale dello SME. Era costituita da un “paniere” cui contribuivano tutte le monete della Comunità secondo una percentuale fondata sul peso delle rispettive economie nazionali e da rivedere ogni 5 anni (per la lira il 10,5%).
Il meccanismo di cambio prevedeva che ogni moneta potesse fluttuare rispetto all’ECU in una banda del 2,25% in più o meno. Se questi limiti erano superati, la banca centrale del paese interessato doveva intervenire vendendo o comprando moneta.
La solidarietà finanziaria consisteva in un meccanismo per cui, nel caso un paese avesse difficoltà ad equilibrare la propria situazione, scattavano concessioni di credito dalle altre banche centrali dei paesi membri, ciascuna con una quota predefinita.